Lasciate le atmosfere tropicali ad alto tasso alcolico di Diu raggiungo la costa occidentale della penisola Saurashtra, dove si trovano due templi famosi e frequentatissimi dai pellegrini induisti e la cittá natale di Gandhi. Questa parte del Gujarat é forse quella meno battuta dai viaggiatori stranieri, che in genere fanno al massimo fanno una tappa a Diu tra il Rajasthan e Goa oppure visitano l’affascinante Kutch nel Nord dello Stato.
Il tempio di Somnath ha una location fantastica sulla spiaggia e contiene un bellissimo lingam ( spettacolare, uno dei più belli dell’India secondo me ), che è uno dei famosi dodici jyotirlings, ma l’ho trovato meno interessante di altri: non c’era la solita ressa all’ingresso né l’atmosfera mistica tra dense volute di fumi d’incenso, forse perché è una costruzione molto recente e manca di quel fascino fuori dal tempo che caratterizza i più famosi templi dell’India, dal Tempio d’Oro di Varanasi al Tempio di Meenaksi di Madurai. Questo tempio nell’antichitá era uno dei piú belli e ricchi dell’India, e proprio per questo fu in varie occasioni oggetto di razzie e distruzione da parte dei conquistatori musulmani. Dopo l’ultima distruzione nel 1706 ad opera del famoso fondamentalista islamico Aurangzeb ( l’ultimo dei grandi Mughal, quello che uccise i fratelli e mise in prigione il padre Shah Jahan, famoso per aver costruito il Taj Mahal ), fu lasciato in macerie e venne ricostruito solo negli anni cinquanta. Quella di oggi secondo le leggende indù è la sua ottava “incarnazione” ed è stata costruita sullo stesso sito, seguendo un progetto fedele alla struttura originale.
Volevo fermarmi almeno una mezza giornata a Porbandar, la cittá natale di Gandhi, ma tutti gli hotel erano pieni ( o piú probabilmente non volevano prendere stranieri ) e dopo una mezz’ora in giro sotto un implacabile sole di mezzogiorno con lo zaino sulle spalle, mi sono rotto le palle, ho mandato affanculo l’ultimo tizio che non mi voleva dare una stanza e ho deciso di tornare alla squallida stazione degli autobus e proseguire verso Dwarka. La città faceva schifo, comunque.
Dwarka ospita uno dei piú belli ed importanti templi dedicati a Krishna, è una delle sette città sante dell’Antica India e uno dei quattro luoghi del famoso Char Dham, il pellegrinaggio tra Badrinath, Puri, Rameswaram e appunto Dwarka, che ogni buon Induista dovrebbe fare almeno una volta nella vita ( per la cronaca, a me ne manca solo uno, Badrinath ). Questa città è considerata il sito della leggendaria Dwaraka, dove il Dio Krishna passò gran parte della sua vita. Per i non Induisti queste storie sono simili a quelle degli Dei dell’Antica Grecia, ma pochi anni fa dei sub hanno scoperto a pochi chilometri dalla costa i resti di una città sommersa antichissima, che potrebbe essere proprio la mitica Dwaraka. Alcuni manufatti trovati dai sub sono stati analizzati e datati al 7500 a.C., quindi questa città non solo sarebbe una delle più antiche al mondo ma potrebbe corrispondere alle descrizioni dei miti e delle leggende Indiane. Pare che questa Dwaraka fosse una città meravigliosa con migliaia di palazzi d’oro, d’argento e di pietre preziose, e che fu lo stesso Krishna a farla scomparire negli abissi dopo la sua morte.
Dwarka è la tipica cittá indiana che vive quasi esclusivamente di turismo religioso, ma sono la sua location isolata sulla costa, il paesaggio desertico e gli abiti rosso fuoco dei pellegrini che la rendono un luogo unico e molto affascinante. C’é gente proveniente da tutta l’India, anche se la maggior parte sono Gujarati e Rajasthani. I locali indossano turbanti e sarees rosso acceso e degli enormi orecchini, soprattutto le donne: non avrei mai pensato che si potessero indossare orecchini così grossi. Il tempio é sempre affollato, decido di andarci alla sera per godermi l’atmosfera e la fresca brezza che arriva dal mare. C’è una fila accettabile e in mezz’ora arrivo al darshan, poi mi siedo sugli scalini di un tempio minore ad osservare il viavai della gente. Alcune donne cantano, altre meditano. Gli uomini come al solito sembrano più impazienti, anche se poi una volta fuori dal tempio non è che ci siano in attesa grandi divertimenti. In un edificio adiacente c’é un sadhu che predica inframmezzato dalla musica di tablas e sitar, mi fermo per un po’ a sentirlo. Pare che sia un tizio famoso, tutti ascoltano con attenzione e devozione. Dietro al tempio c’è il fiume sacro Gomti che sfocia nel Mare Arabico, con alcuni ghat popolati dalla solita variopinta umanità indiana.
Vorrei andare a vistare anche i templi vicini di Rukmini e Nagehswar, dove tra l’altro c’è un altro jyotirling, e l’isola di Bet Dwarka, probabilmente uno dei luoghi più remoti dell’India. Taxi e tuc tuc chiedono cifre scandalose, alla fine ripiego su un tour di pellegrini che fa tutto il giro in un giorno per sole 80 rupie. Parto quindi la mattina presto con un’altra decina di indiani, l’atmosfera è simile a quella delle nostre gite della parrocchia. Ci si ferma ad ogni tempio per il darshan, anche se non mancano le soste per farsi selfie e foto varie coi cellulari. Il primo tempio è quello di Rukmini, la moglie di Krishna: bello soprattutto per i bassorilievi, ma ciò che mi colpisce è un gruppone di un centinaio di simpatici sadhu che fa l’elemosina. Sono sadhu veri, non i soliti mendicanti che si incontrano nelle città turistiche, tutti piuttosto anziani e intabarrati in sciarpe e coperte colorate ( la notte fa piuttosto freddo da queste parti ). Seconda tappa: Nageshwar, un tempio nuovissimo che però contiene un mitico lingam, che come quello di Somnath secondo la tradizione è emerso spontaneamente dalla terra per volere di Shiva. La leggenda narra che questa zona nell’antichità era infestata da serpenti governati da un demone-serpente, Daarkara. Un devoto chiese quindi l’aiuto di Shiva che si manifestò come questo sacro lingam liberando la città dal demone. All’esterno del tempio c’è una grande statua di Shiva alta 25 metri.
Arriviamo infine alla punta della penisola, dove partono dei ferry malconci strapieni di gente per l’Isola di Bet al largo di Okha. Il posto è talmente fuori dal mondo che vale la pena rischiare: mi tuffo quindi tra la folla e in pratica senza camminare mi ritrovo a bordo. Queste barche hanno tutta l’aria di poter affondare da un momento all’altro, ma almeno il biglietto costa poco, solo 10 rupie. Anche quest’isola è legata alla vita di Krishna e ci sono vari templi e monasteri sia induisti che jain, anche se da quanto ho capito gli abitanti dell’isola sono per la maggior parte pescatori Musulmani. Questi templi sono costruzioni abbastanza recenti e poco interessanti, ma in quello principale c’è un idolo placcato d’oro molto bello e veneratissimo.
Dwarka mi è piaciuta molto: nei miei viaggi in India ho visto sicuramente città sante più belle, mistiche, colorate, con templi più affascinanti, ma qui ho trovato un’atmosfera serena in un luogo così remoto e fuori dal mondo che mi ha impressionato e coinvolto. Non ci si passa per caso, bisogna abbandonare gli itinerari comodi e fare una bella deviazione, ma è un posto che è in grado di ripagare il viaggiatore degli sforzi e del tempo perso.