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Tra il Divo e Delio

Creato il 04 maggio 2012 da Fabio1983
Sono sicuro che Pietro non me ne vorrà, ma prendo spunto da lui per un post che mi balenava in testa già da un po’. Giovedì pomeriggio, a un certo punto, le agenzie di stampa battono la notizia che Giulio Andreotti è stato ricoverato al Policlinico Gemelli, in terapia intensiva, per problemi cardiorespiratori. Sul Divo Giulio di leggende metropolitane ne girano parecchie da tempo e ogni volta, a voler prendere per buone evidenti cantonate, il rischio più grosso che avremmo potuto commettere (intendo noi giornalisti, blogger o assidui frequentatori dei social network) sarebbe stato quello di affermare che “senza ombra di dubbio” Andreotti è passato a miglior vita. Un po’ come è avvenuto, su larga scala e in più di una occasione, con Fidel Castro. È quello che sostenevo qualche giorno fa: non si può prendere ogni rutto per verità assodata. Pensateci bene, è una doppia fatica: la prima a scrivere che Tizio è morto, la seconda a rettificare attribuendo a Caio e a Sempronio la responsabilità del disguido. Ma non è questo il punto. Colleghi, non siate timidi: in quanti di voi, ieri, una volta appreso del ricovero di Andreotti, avete iniziato a scrivere il coccodrillo d’ordinanza portandovi avanti con il lavoro? Immagino: “Giulio Andreotti, senatore a vita, sette volte presidente del Consiglio…” e bla bla bla discorrendo. E ancora a buttare giù una sfilza di battute e aforismi tratti dal suo immenso repertorio. Che so: “A parte le guerre puniche, perché ero troppo giovane, mi viene attribuito veramente tutto”. Oppure: “Il potere logora chi non ce l’ha” (che non è neppure autentica, tra l’altro). E per finire il grande classico, quello che non può mai mancare: “A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina”. Ecco, c’è qualcosa di perverso nella consuetudine resa visibile in tempo reale dagli odierni strumenti ed è quel qualcosa che alimenta la smania di scrivere tutto e il contrario di tutto – e siamo noi a farlo – senza prendersi la briga di verificare l’attendibilità della fonte, accertarsi che ciò che si sta asserendo corrisponda alla realtà dei fatti. A leggere i commenti su Twitter e su Facebook di amici, conoscenti e colleghi sembrava che non c’era altro da fare se non estendere il necrologio (e tralascio le battute di chi augura la morte ad altri individui, ovviamente) per poi tornare in poche ore alla normalità. Della serie: “Ok, sarà per la prossima volta”. Che c’entra Delio Rossi? In apparenza nulla. Né voglio entrare nel merito della questione, che francamente ci ho capito ben poco. Voglio solo far notare che tantissimi giornalisti sportivi, alcuni anche amici, sul momento (mercoledì sera, quindi) hanno detto di peste e corna sulla spropositata reazione nei confronti di Ljajic. Poi gira una voce l’indomani su una presunta frase che il giocatore uscendo dal campo avrebbe rivolto all’allenatore e allora tutto cambia. Lo “scandaloso Delio Rossi” è oggi un uomo che va capito. E certo che va capito, ma non necessariamente giustificato. Schierarsi è d’obbligo? O con me o contro di me? Forse è così che deve andare sempre. Su una cosa, però, Rossi ha perfettamente ragione: 
Ci sono alcuni punti fermi su cui non transigo. Il rispetto della mia persona, del mio lavoro e della squadra che alleno e soprattutto della mia famiglia. Se toccano questi sentimenti non va bene. Il mio è stato un gesto brutto, deprecabile, ma c'è ipocrisia. È stato detto “poteva farlo nello spogliatoio”. E perché mai? In uno spogliatoio passava per un gesto virile e sanguigno invece davanti alle telecamere è un gesto di violenza? Non ho mai detto di essere Padre Pio. 

Capito? Poi dici che a pensare male degli altri si fa peccato. Il guaio è che troppo spesso (non) ci si indovina.

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