Ne parlo perchè dopo l'uscita del post di Grillo sul politically correct sul suo blog, oltre qualche commento ironico sulla libertà di insultare che questo articolo presupporrebbe, anche Severgnini mette bocca, e dice cose tutto sommato condivisibili, riassunte poi nel titolo: la sincerità non può essere confusa con il turpiloquio. Giova però ricordare, come sarà agevole notare a ognuno di noi, che accusare o difendere qualcuno o i suoi pensieri risente della simpatia o antipatia che nutriamo verso costui. Severgnini, per esempio, che secondo me non nutre simpatia nei confronti di Grillo, non gli risparmia giuste critiche; io, che ne nutro, gliele risparmio e, addirittura, cerco di comprendere ciò che voleva dire, anche al di là di quello che effettivamente è riuscito a far passare.
L'idea del post di Grillo penso riguardi certo manierismo o formalismo nell'esprimersi che serve, a volte, a mascherare la realtà. Non credo che egli intenda dire che, messo da parte il discorso politicamente corretto, parte ipso facto l'insulto a ruota libera. Ritengo che si riferisca a quelli che deve vivere come salamelecchi istituzionali, che frenano l'emersione della verità e nascondono i veri pensieri che i politici nutrono. Non che una buona dose di violenza verbale già non esista, ma scambiarla per dire sinceramente ciò che si pensa è un grave errore. L'insulto libero, giustamente criticato da Severgnini e che troppo spesso alligna nelle trasmissioni televisive e in rete, non ha niente a che fare con la libera espressione del proprio pensiero senza le attenzioni richiamate da Grillo:
«Mentre parli devi continuamente e seriamente valutare se ogni parola che stai per pronunciare può urtare la sensibilità di qualcuno: un gruppo religioso, un'istituzione, una comunità, un'inclinazione sessuale, un'infermità, un popolo»O almeno io l'intendo così. Perchè non puoi dire a qualcuno che sta sbagliando, anche se è il Capo dello Stato? E perchè, se stai affermando il tuo pensiero, devi passare per uno che insulta? Chi ha detto che esiste o deve esistere questo legame tra le due cose? E chi ha detto che quando insulti stai esprimendo il tuo pensiero senza ipocrisie? L'insulto non garantisce l'aderenza al vero di quanto detto. E chi l'ha detto che se uno è schietto nel suo parlare deve essere per forza anche essere violento o volgare? Non credo che esista sempre questa relazione e il voler far passare che ci sia è spesso un errore.
Se, per esempio, mi riferisco a un non vedente come a un cieco, commetto qualche indelicatezza verbale o sono imputabile di insensibilità? Se dico che l'arrivo di tanti stranieri pone problemi a un paese come il nostro, anche indipendentemente dalla scarsa ricettività di istituzioni e locali, dico una cosa violenta o pregiudizievole? Se affermo che la politica è composta per buona parte da opportunisti sto insultando? Certo, se a queste considerazioni aggiungo brutto, sporco e cattivo, le cose cambiano, ma dire ciò che si pensa senza insultare, anche se magari urtando la sensibilità (che è cosa difficile da quantificare), come dice Grillo, non è violenza verbale. La sensibilità che si può urtare intesa da Grillo è, probabilmente, solo quella della verità, ma la verità può anche essere detta con garbo, stante che comunque fa male. Se così intesa, l'espressione del proprio pensiero, quantunque insensibile, è lecita, anche se a volte si può tranquillamente evitare se rischia di ferire inutilmente. Dire che l'immigrazione può portare a un aumento di criminalità e che l'integrazione non riguarda solo i locali è una cosa che si può scambiare per mancanza di sensibilità (per la quale tutti i migranti sono buoni), ma non è un insulto. Invece dire che, siccome l'immigrazione può portare a un aumento di criminalità, i migranti vanno lasciati al loro destino e non soccorsi, è una mancanza di sensibilità (che va contro un diffuso sentimento di umanità), e va aspramente criticata. Parlare di qualcuno come di un cieco o un non vedente non cambia molto dal punto di vista del rispetto. Forse più il tono con cui lo si dice ha importanza. Ma far notare a qualcuno le proprie carenze fisiche o infermità, quantunque vero, è una chiara insensibilità e si può tranquillamente fare a meno di dirla. (Ma far notare a qualcuno le proprie infermità intellettive, come spesso si sente fare dai e nei confronti dei politici, è un'indelicatezza, una maleducazione oppure è giusto farlo?).
S può addirittura arrivare a quegli obbrobri richiamati proprio da Severgnini dove, al posto di basso di statura, si diventa vertically challenged, verticalmente carente. Non sembra una presa in giro? La correttezza politica su base terminologica vuole, con un recente provvedimento del governo, che sia eliminato il finanziamento pubblico ai partiti, salvo far spuntare un 2 per mille che altro non è che una gentile concessione dello Stato, mercè la possibilità di scelta per il contribuente se lasciare o soldi allo Stato o dare i soldi (dello Stato) ai partiti. Il pensiero chiaro, non so quanto politicamente corretto, vorrebbe che invece le cose si chiamassero con il loro nome, cioè sostituzione di una forma di finaziamento pubblica con un'altra forma di finanziamento, sempre pubblica, perchè si sa che la politica è l'arte della retorica, che vuol dire convincere la gente con le parole. Dargli l'aiuto di un finto politically correct significa concedergli un atout del quale non avrebbe bisogno.
Certo Grillo esagera. Ha trasformato un naturale disgusto per la politica in un calderone in cui infilarci tutta la classe dirigente. Ha sfruttato la ripulsa di una parte dell'opinione pubblica per i politici per accentuare, dal punto di vista verbale, il distacco della gente da parlamentari e ministri, impiegando termini che normalmente si utilizzano per cose ripugnanti. Il linguaggio violento accentua, a volte, la percezione negativa associata a un giudizio mentre certo utilizzo del linguaggio politicamente corretto maschera, a volte, il reale significato del proprio pensiero. Vedo due pericoli: primo, che la sostituzione delle parole e il formalismo nell'esprimersi nascondano, e non correggano, modi di pensare primitivi, che infatti emergono sempre. Secondo, che eliminare del tutto questo formalismo del politicamente corretto non gioverà all'educazione dei parlanti anzi, la peggiorerà. Fanno il paio con la violenza verbale e l'insulto, condizioni che non giustificano il dire la verità.
La differenza starebbe nel dire ciò che si pensa senza offendere gratuitamente. La verità, quando non insista su questioni attinenti pregiudizi fisici o mentali, non può considerarsi offesa. L'esatta regolazione di questo meccanismo non può darsi, occorre una buona dose di esperienza e una certa disposizione d'animo. Per tutti gli altri, offendere o mascherare la verità sono attività alle quali non possono rinunciare, e non saranno modificabili facilmente. Come se ne esce? Qual è un sistema utilizzabile in ogni occasione? Dire sempre la verità con i dovuti modi? E' un buon sistema, anche se non si può utilizzare sempre. Usare i dovuti modi e non dire mai la verità? Certo che no. Dire sempre quello che ci pare senza riguardo per nessuno? Nemmeno per sogno. Personalmente, saprei anche come se ne esce: con quella cosa che Cartesio* sentiva essere una delle più diffuse al mondo ma della quale pochi sentono il bisogno di averne ancora, il buon senso.
P.S. In extremis leggo anche l'intervento di Giovanna Cosenza, che dopo aver difeso Grillo, in passato, dall'accusa di turpiloquio questa volta lo riprende decisamente sulla frase citata sopra, quella sulle sensibilità, dicendo che fa un'operazione scorretta. Non siamo perfetti, questo va da sè, e alle volte non riusciamo ad esprimere compiutamente il nostro pensiero. Come già detto tendo a colorare il pensiero di Grillo della tinta politica, perchè a quella credo si riferisca ossessivamente, almeno da qualche anno a questa parte. Non immagino neanche che la sua frase possa riferirsi al rispetto che si deve agli altri tutti i giorni, al di fuori dell'ambito politico -ma anche dentro, perchè no- soprattutto a quelli con qualche problema. Detto questo anche l'analisi di Cosenza è giusta, nel senso che stabilisce la linea di confine tra un necessario formalismo del linguaggio e l'esigenza di dire le cose come stanno. Per cui, a titolo d'esempio, è giusto rivolgersi a un'autorità con un certo formalismo, ma dev'essere altrettanto giusto -e possibile- poterla criticare apertamente.
* Il buon senso è la cosa meglio distribuita nel mondo poiché ciascuno pensa d'esserne così ben provvisto che anche coloro che più difficilmente si accontentano di ogni altra cosa non sogliono desiderarne più di quel che ne hanno.