In data 12 Dicembre 2014 si è tenuta, presso la Sala Tatarella del Palazzo dei Gruppi, Camera dei Deputati, la conferenza Multi- e bilateralismo: le opzioni della politica estera italiana, organizzata dall’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) col contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) e col patrocinio del Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE).
Il convegno ha visto la partecipazione di illustri relatori, i quali hanno discusso temi centrali per la nostra politica estera quali il ruolo ricoperto dall’Italia nei fori multilaterali e nelle relazioni bilaterali in rapporto agli obiettivi di politica estera, sottolineando la complementarità tra due metodi – appunto quello multilaterale e quello bilaterale – per lungo tempo e a torto considerati antitetici.
La discussione è stata introdotta dal presidente dell’IsAG, Tiberio Graziani, e moderata dal Dott. Dario Citati, il quale ha aperto i lavori ricordando le aree tematiche verso cui gli interventi dei relatori si sarebbero diretti: importanza concettuale della politica estera italiana e rapporto tra multilateralismo e bilateralismo nel corso degli ultimi decenni, concentrandosi in particolar modo sulle relazioni stabilite con i paesi mediterranei e con la Russia, vettori di importanza geopolitica cruciale.
Il Min. Plen. Luigi Marras, a capo della Direzione Generale per la Mondializzazione e le Questioni Globali presso il Ministero degli Affari Esteri, ha esortato ad andare oltre la dicotomia tra queste “false alternative” per rispondere in modo dinamico alle nuove sfide imposte dalla globalizzazione. Scegliere una sola posizione, come è successo per lungo tempo anche nella formazione dei funzionari alla Farnesina, risulterebbe anacronistico ed impedirebbe agli esperti di penetrare al meglio le ragioni delle crisi, le cui radici spesso affondano in grandi questioni globali come l’ambiente, l’energia, le migrazioni. La sua Direzione Generale, ha spiegato Marras, si propone di integrare l’agenda bilaterale con quella multilaterale, facendo affidamento sul dialogo, sulla collaborazione, su iniziative culturali e su un tipo di diplomazia preventiva che permetta di guardare oltre le frontiere e di stabilizzare aree potenzialmente pericolose, pensando non solo alla nostra sicurezza energetica, ma anche alla loro: è infatti in questi vuoti che possono inserirsi organizzazioni fondamentaliste come ISIS o Boko Haram. Dall’analisi di questi deficit che la politica estera dei paesi occidentali ha mostrato nei suoi rapporti con queste macroregioni instabili, Marras invita ad un approccio basato sul concetto di sostenibilità, modellato sull’esempio della “responsabilità sociale d’impresa” e che rechi con sé una percezione più sensibile di problemi che un tempo le cancellerie non avevano.
L’Amb. Giulio Terzi di Sant’Agata, ex ministro degli Esteri, ha ribadito l’importanza della Direzione Generale guidata dal Min. Plen. Marras, definita come uno dei pilastri della Farnesina, e dell’approccio globale della diplomazia in un contesto volto alla difesa dei diritti umani a livello mondiale e alla garanzia dei cardini dello Stato di diritto, come visto anche in recenti negoziati macroregionali che puntano ad accertare prima le regole di comportamento dei singoli paesi – ad esempio della Cina riguardo alle emissioni di CO2.
Il Generale Vincenzo Camporini, Vice-Presidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), ha confermato la tesi per cui multilateralismo e bicameralismo sarebbero due metodi che non hanno valore etico in sé: l’antinomia che attribuisce al primo caratteristiche più democratiche rispetto al secondo è solo frutto di un’ideologizzazione che ha ipostatizzato due filoni intersecabili. Nelle relazioni internazionali è evidente che la legittimità venga da aperture ampie, ma i rapporti bilaterali sono sempre il primo passo, anche in organizzazioni ibride come l’Unione Europea in cui ci dovrebbe essere un dialogo iniziale con i singoli paesi. A mo’ di esempio, viene ricordato il caso della discussione sul coinvolgimento NATO nella lotta al narcotraffico in Afghanistan, con l’Italia – contraria – messa in minoranza rispetto agli altri paesi che avevano preparato rapporti preventivi. Una miopia che rischia di creare fratture profonde e persistenti, come è accaduto in ambito NATO riguardo alla crisi irachena del 2003 o negli ultimi mesi a proposito della questione ucraina.
Il Prof. Raffaele Cadin, Associato di Diritto Internazionale presso l’Università Sapienza di Roma, ha incentrato il suo intervento sulle divergenze interne al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la cui possibile riforma è oggetto di numerose discussioni da circa vent’anni. L’Italia, nonostante le recenti alternanze alla Farnesina (quattro ministri negli ultimi tre anni), è fortemente contraria all’allargamento verticistico proposto dai paesi del G4 (Brasile, Germania, Giappone, India) e continua a lavorare con altre potenze medio-grandi – tra cui Paesi Bassi e Spagna, che rappresentano l’Europa nel gruppo denominato Coffee Club – affinché sia istituito un seggio per le organizzazioni regionali come l’Unione Europea. La reazione a crisi e a dinamiche globali dipende anche dai giochi di potere all’interno del Consiglio, spesso spaccato su questioni relative al diritto di veto (la più pesante eredità giuridica del XX secolo), alla possibilità di interventi umanitari in zone di crisi e alla condivisione vera o presunta di valori formalmente universali. Basti pensare al caso libico: per quanto lontano dagli standard democratici occidentali, Gheddafi aveva pur sempre unito l’Africa anche in vista di un eventuale seggio regionale nelle organizzazioni internazionali. La sua caduta ha rinforzato la posizione di quelle potenze emergenti contrarie alla rappresentanza macroregionale e che ora possono influenzare i singoli paesi del continente africano, i quali finiranno per appoggiare le loro istanze pur di ottenere seggi non-permanenti. Eppure, paesi come Togo, Ruanda e Ciad, ma pure rappresentanti del nostro continente come Lituania e Lussemburgo, sembrano francamente poco adatti per risolvere crisi di importanza globale. Sempre sull’intervento in Libia del 2011, il Prof. Cadin ha continuato in seguito ricordando come il diritto di veto possa ostacolare azioni congiunte in nome di valori comuni universali che in teoria dovrebbero trascenderlo; sostenuto in ciò dall’Amb. Terzi, il quale a sua volta ha citato la proposta intelligente di Laurent Fabius sull’autolimitazione del veto su questioni inerenti ai diritti umani. Eppure, ha aggiunto sempre Cadin, per quanto possa sembrare un feticcio, il diritto di veto stesso può essere aggirato in nome di una governance comune e di compromessi tra i membri permanenti: Putin non oppose il veto alla risoluzione 1973/2011 in cambio della promessa non mantenuta di procedere solo ad un intervento umanitario e non al cambio di regime.
Il Prof. Alessandro Colombo, Ordinario di Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi di Milano, si è dichiarato da subito d’accordo con gli altri relatori riguardo ad un indispensabile superamento della falsa antinomia tra multilateralismo e bilateralismo, col primo considerato quasi alla stregua di una religione, necessaria per non tornare ad arroccarsi su concetti apparentemente obsoleti come identità e interesse nazionale.
Il Prof. Colombo ha invitato inoltre a non spoliticizzare le crisi di cui siamo spettatori, in gestazione dagli anni ’90 e determinate dai fallimenti di quel novo ordo fantasiosamente immaginato dopo la fine del bipolarismo.
Il Prof. Gianfranco Lizza, già Ordinario di Geografia Politica presso l’Università Sapienza, ha sottolineato realisticamente come le regole del gioco non siano dettate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU ma dai poli economici sottostanti, che potrebbero determinare conflitti indipendentemente dalle riforme palliative delle organizzazioni internazionali. In questo contesto problematico e cinico, in cui le motivazioni geopolitiche sono sempre dietro l’angolo, lo Stato italiano sembra solo una mera sommatoria di classi e territori, prigioniero di un’ambiguità di fondo verso partner fondamentali come la Russia o quelli mediterranei e ormai quasi privo di cespiti strategici e militari – con 8000 km di costa e con ISIS a 80 miglia da esse, l’Italia non ha sviluppato zone economiche esclusive come Spagna, Francia e Grecia e da qui al 2025 ridurrà ulteriormente le sue flotte. Un segnale negativo per una zona strategicamente cruciale come il Mediterraneo, in cui Roma potrebbe e dovrebbe rivestire un ruolo di primo piano in virtù di quella comunanza identitaria e culturale di cui parlava Braudel, ritornata d’attualità giù nella Dichiarazione di Barcellona del 1998, come ha sottolineato anche l’ex Ministro Terzi, e centrale negli scenari geopolitici mondiali, in cui però sembra che Italia ed Europa siano ormai marginali. L’Unione Europa, di fatto, è travagliata da fratture che inficiano la creazione di regole comunitarie concrete e necessarie per far presa su masse sempre più lontane e disilluse dalle istituzioni.
Inoltre, non giova secondo il Prof. Lizza alle divisioni su politica estera, fiscale e relativa alla difesa l’alleanza da gregari con gli Stati Uniti, che soffiano sul fuoco ucraino per deteriorare il rapporto potenzialmente vantaggioso tra Bruxelles e Mosca. A questo proposito, diverse sono state le parole dei relatori. Le relazioni col gigante riscopertosi eurasiatico soffrono dell’ingerenza statunitense e di un atteggiamento bicefalo da parte dell’UE, come si vede nel caso della politica energetica (South Stream), di questioni finanziarie (conflitto dollaro-rublo) e geopolitiche (l’annessione della Crimea): l’Amb. Terzi ha ricordato come Putin sfrutti la dipendenza europea imponendo prezzi maggiori del dovuto e agendo non sul piano del diritto in aree di crisi come l’Ucraina, mentre il Prof. Cadin ha sostenuto che il Consiglio di Sicurezza ha agito, in relazione alla Crimea, riferendosi al cap.VI della Carta delle Nazioni Unite, in cui non vale il principio nemo iudex in re sua. Il Prof. Colombo ha aggiunto che la Russia è quasi al collasso e che per gli interessi europei un suo ulteriore indebolimento sarebbe molto nocivo, per i vuoti geopolitici che si verrebbero a creare.
Infine, è intervenuto infine dal pubblico l’Ambasciatore Guido Lenzi, il quale ha sottolineato come l’Italia sia un paese geneticamente multilaterale e che le organizzazioni internazionali non funzionano in quanto bloccate sul nascere dai meccanismi da guerra fredda che ne determinarono l’architettura originaria, vedi diritto di veto. Tensioni e fratture che si pensavano superate con la “fine della storia” profetizzata a inizio anni ’90 e verso cui si sta regredendo. Per arginare nuovi conflitti, secondo l’Amb. Lenzi, occorre ricercare soluzioni condivise su un piano multilaterale ed evitare di scivolare verso l’instaurazione di un ordine multipolare, che invece ne aumenterebbe solo il rischio.
Quella del 12 dicembre è stata solo la prima di una serie di conferenze che l’IsAG intende dedicare alla discussione e riflessione sulla politica estera italiana. Il 19 gennaio p.v., sempre presso la Camera dei Deputati, si dibatterà invece del soft power italiano.
(Testo di Ugo Gaudino, foto di Giorgia Licitra)
Pubblicazione di Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG).