Flavia Biondi, alias Nathanielle, è nata a Castelfiorentino nel 1988. Ha studiato Fumetto e illustrazione presso l’Accademia di Bologna ed è qui che oggi vive e lavora. Durante gli anni dell’Università ha fondato insieme con altri colleghi l’etichetta Manticora Autoproduzioni, con cui ha realizzato Sindrome (2012), Tenebre (2013) e Feral Children (2014). Con Renbooks ha pubblicato Barba di Perle (2011) e L’Orgoglio di Leone (2014). Il suo sito è nathanielle.blogspot.it.
Noi de Lo Spazio Bianco le abbiamo fatto qualche domanda su quest’ultimo lavoro e sui (promettenti) progetti futuri.
Entrambi i libri pubblicati da Renbooks, Barba di perle e il recentissimo L’Orgoglio di Leone, trattano le difficoltà che incontrano i protagonisti nell’accettare la propria identità sessuale. Pensi che essere onesti con se stessi sia addirittura più difficile che confrontarsi con il mondo esterno?
Credo che essere onesti con se stessi e confrontarsi con il mondo siano entrambe esperienze che possano essere complesse per un omosessuale. Ma tra le due non c’è un gradino di difficoltà diversa, penso anzi siano consequenziali.
Santo, il protagonista di Barba di Perle, sa di essere omosessuale. Il suo problema di accettazione è più sfumato e complesso. Mentre nel caso di Thomas, ne L’Orgoglio di Leone, il personaggio non si identifica affatto come gay. Si identifica come un furbo, un modo di pensare che forse solleva questioni ben più spinose.
Quanto di queste storie deriva dalle tue esperienze personali?
Dei fatti narrati nelle vicende che ho scritto ci sono poche esperienze che derivano direttamente dalla mia vita, ma molti lati del carattere dei miei personaggi sono anche miei. Sia positivi che negativi. Anzi direi che c’è una maggiore componente autobiografica negli aspetti più negativi dei miei personaggi.
In qualche modo, forse, attraverso il mio tentativo di cambiare loro, tento di mutare anche il mio modo di pensare.
Come mai hai scelto di raccontare entrambe le vicende da un punto di vista maschile?
Barba di Perle nasce prima di tutto da una mia riflessione riguardo alla barba, come elemento fisico vero e proprio. Quindi di conseguenza il protagonista doveva essere un uomo.
Però ammetto che spesso la mia scelta di raccontare attraverso personaggi maschili derivi più da un limite tecnico: le donne mi riescono male da disegnare. Devo lavorare ancora molto!
Com’è stato per te affacciarti così giovane nel mondo della graphic novel italiana?
Disegno e scrivo da quando ho memoria, quindi quando Renbooks mi ha dato la possibilità di pubblicare con loro non ho potuto che esserne immensamente grata e felice. Certo, non lo negherei mai, ho sempre una gran paura. Avere poca esperienza mi crea sempre un senso di panico ma il pubblico e i colleghi sono sempre stati in grado di aiutarmi. Ho ricevuto buoni consigli e spero di aver modo di migliorare.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ho cominciato a disegnare da lettrice di manga, inizialmente quindi i miei grandi amori erano fumettisti che ammiro ancora molto come Inoue, Miura, Ai Yazawa… ma scoprire Craig Thompson e Frederik Peeters per me è stato il punto di svolta. Mi sono innamorata follemente.
In seguito ho cominciato ad amare e studiare il segno occidentale, specialmente quello europeo.
Per quanto riguarda però l’aspetto emotivo della narrazione ho sempre un netta preferenza per l’approccio orientale.
Quanto è importante il ruolo dell’editore nello svolgimento del tuo lavoro?
Molto. Sono una persona molto paranoica e mi perdo sempre dietro a problemi inesistenti, quindi per me è molto importante che il mio editore mi tenga coi piedi per terra. Altrimenti soccomberei alla mia moltitudine di castelli in aria.
Oltre a lavorare con Renbooks, fai parte anche di un collettivo, Manticora Autoproduzioni. Raccontaci qualcosa di questa esperienza e del vostro ultimo volume, Feral Children.
Manticora autoproduzioni è un etichetta che formammo tre anni fa con altri sette colleghi dell’accademia di Belle Arti di Bologna. Lavorare come Manticora ci ha permesso di crescere molto, è stata (ed è tutt’ora) un’esperienza costruttiva. Consiglierei a tutti i fumettisti alle prime armi di misurarsi con l’esperienza dell’autoproduzione, perchè aiuta a formare una mentalità del lavoro necessaria per interfacciarsi col mondo dell’editoria.
Durante quest’ultimo Lucca Comics and Games abbiamo presentato la nostra ultima fatica, Feral Children, un albo realizzato a quattro mani di cui siamo davvero contenti. Si tratta di una piccola antologia che racchiude quattro storie ispirate ai bambini selvaggi, abbandonati dall’uomo e cresciuti dalla Natura. Il riscontro con i lettori è stato ottimo e noi siamo davvero soddisfatti.
A Lucca è stata annunciata l’uscita di un volume firmato da te per Bao Publishing, La generazione. Puoi darci una piccola anticipazione?
Sono davvero entusiasta di questa opportunità di lavorare per Bao Publishing, che da sempre è una delle case editrici italiane che più stimo. Il mio lavoro farà parte della collana Le Città viste dall’alto e racconterà delle avventure dolci e amare di una famiglia in un piccolo borgo toscano.
Si tratterà di una storia che riflette su molti temi a me cari, come l’ambiente paesano, la crescita personale, le prospettive del futuro e i complicati e delicati rapporti all’interno di una famiglia.
Per rispondere in anticipo, no, non è autobiografica, ma credo che anche stavolta in molti angoli del racconto ci sarà un pizzico della mia storia. Credo sia inevitabile.
Grazie mille a Flavia Biondi per la sua disponibilità
Intervista rilasciata via mail, novembre 2014