Magazine Cinema
Grecia, 2012
18 minuti
Se n'era già parlato qui (nelle Tracce #15), del visionario cinema di Konstantina Kotzamani, successivamente alla scoperta di un sample work dei suoi film (tutti cortometraggi) e dal trailer dell'ultimo Washingtonia, presentato tra gli altri, anche al 32° TFF. L'attesa maggiore però, sulla base di quanto potuto scorgere all'epoca (e stando alle esigenze stilistiche ricercate dal sottoscritto), era tutta per questo Arundel, che ora, a visione compiuta, riconferma le favorevoli impressioni già emerse con il precedente Pigs, e con il quale, mantiene sicuramente una sua continuità.
A cominciare da una narrazione dai tratti apologici, ma che stavolta si carica di occultismo e atmosfere decisamente più atre; il paesaggio isolato, ad esempio (un tipico borgo rurale, con i suoi stretti viottoli e le abitazioni in pietra) già di per sè conferisce egregiamente al film un'aura di mistero e di segreti sepolti, o più attinentemente: scolpiti. Come quell'iscrizione intagliata che chiosa il titolo, indicante una serie di eventi passati. Allo stesso modo di quegli avvenimenti arcani che, tramite le missive di un uomo misterioso, sembrano turbare una giovane (la Katia Goulioni di Mesa sto Dasos), segregata tra le quattro mura di una stanza, con unica vista su un cortile. All'esterno, solamente un albero di palma e un cane legato ad esso; lo stesso cane che segue costantemente il nuovo postino (il lantimosiano Hristos Passalis, l'attore che interpretava il figlio in Kynodontas) durante il suo tragitto giornaliero, e che assieme alle lettere da costui consegnate, sembra l'altro solo elemento a fungere da collante per queste due esistenze.
"Sono passati tre giorni e sto bruciando. Non riesco ad alzarmi dal letto. Sto sudando. Nessuno cambia le mie lenzuola. Ogni pomeriggio, ci nutrono di carne di cane. Dicono che guarisce la febbre. Penso che in realtà abbiano finito la carne. Fuori, nel cortile, c'è un albero di palma. Lo vedo dalla mia finestra, ma non riesco ad avvicinarmi oltre. C'è un cane legato ad esso. Lo hanno isolato dagli altri cani, perché lui è malato."
A frammentare lo svolgersi di questo inesplicabile legame, i destabilizzanti sogni della ragazza manifestanti l'espresso desiderio di liberazione (quasi una sorta di congiungimento con lo spazio e il cosmo - foto in alto); come la fuga per le dune sabbiose di una landa desertica. Istanti che restano senza dubbio i migliori, e nei quali la regista dà completo sfoggio al suo folle estro visionario, confermando (come già ipotizzato nel suddetto articolo) un'innata predilizione per i tumulti della camera a mano che, abbinati ad un ampio utilizzo del fuori fuoco, amplificano le percezioni, producendo in questo modo, una continua sensazione d'instabilità e disorientamento.
"Ieri, ho sognato di essere nel deserto. Scappavo e le mie orme affondavano nella sabbia.
Poi, qualcuno mi ha inseguita. Ho pensato che fosse qualche animale. Poi, sono svenuta a causa del caldo. Quando mi sono svegliata, ero ancora in questo letto."
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