Luciano Favini dal 2008 coordina la struttura tecnica per gli Esami di Stato ed insieme ad altri due colleghi collabora a determinare le tracce della prova di italiano per la maturità. Riportiamo alcuni stralci dell’intervista rilascia al quotidiano La Stampa.
Delle tracce sa tutto, Luciano Favini, era il 1986 quando iniziò a far parte dei collaboratori del team. Altri tempi, allora erano decine gli ispettori che proponevano i testi per le varie prove. Ora è sono molti di meno, la struttura è composta da 8 persone, agli ispettori decisamente calati nel tempo, si è aggiunto un team di una trentina di professori con un punto in comune rispetto al passato: tutti sempre e solo volontari. «Mai nessuno ha percepito un centesimo», conferma Favini. Si fa perché «si vuole farlo, perché ci credi».
Proporre una traccia sembra una corsa ad ostacoli. «L’autore deve essere noto: se è poco famoso tutti protestano perché potrebbero non averlo studiato. Ma non può trattarsi di un brano troppo conosciuto altrimenti la prova degli studenti si riduce ad una ripetizione di quanto studiato». Dunque, ricapitolando, bisogna aspettarsi un brano poco noti di un autore molto famoso del Novecento. Altra regola da rispettare: l’alternanza tra poesia e prosa. Ultima condizione: l’autore deve essere del Novecento. Luigi Berlinguer, quando era ministro, provò a chiedere un autore dell’Ottocento ma fu fermato, non si poteva: «Molti professori iniziano il programma dalla fine dell’Ottocento, e poi il segnale da mandare ai professori è che bisogna studiare il Novecento», ricorda Favini.
È impossibile invece che capiti una traccia su argomenti delicati come ad esempio i genocidi o le questioni mediorientali. Questo nessuno dei collaboratori della Struttura lo ammetterebbe ma tutti lo sanno, da alcuni argomenti è meglio stare lontani: le polemiche sono quasi una costante di ogni maturità. Ne sa qualcosa Favini, che deve il suo ruolo ad un errore della dirigente che lo precedeva, quindici anni di onesta e competente guida della Struttura spazzati via dalla ministra Mariastella Gelmini nello spazio di un attimo per via di un errore nella traccia del 2008 su Montale. Non era colpa sua, e Favini lo sottolinea più volte, la proposta era di un altro ispettore ma l’ordine è stato netto e la dirigente non ha protestato, ha abbandonato – probabilmente anche senza troppi rimpianti – viale Trastevere ed è andata ad insegnare all’università. Il fatto è che le tracce sono profondamente legate ai ministri e loro lo sanno, alcuni anzi tentano anche di inviare in questo modo messaggi. «È un modo dei ministri di interpretare la cultura del momento», spiega Favini.
E quindi, ad esempio, secondo Letizia Moratti, nel 2004 la traccia sull’amicizia nel mondo artistico-letterario descriveva bene quell’epoca, mentre Mariastella Gelmini ha puntato sui giovani. Fu Favini a preparare la traccia pensando al ruolo dei giovani nella politica prevedendo riferimenti a vari livelli, fra cui anche un discorso di Mussolini insieme con brani di Aldo Moro, Giovanni Paolo II e Palmiro Togliatti. «Il ministro era perplesso. La convinsi. Le dissi che “Il discorso sul delitto Matteotti” era un pezzo di storia italiana, e non si può censurare la storia. Oltretutto quel brano voleva dimostrare come Mussolini strumentalizzava i giovani». Era il 2010. Le critiche furono feroci, si parlò di sdoganamento del fascismo alla maturità e altro. Favini quell’anno aveva proposto anche una traccia su Primo Levi, anche quella bombardata da più parti: un autore di secondaria importanza fu il senso delle critiche. Andò molto meglio con la traccia scientifica.
La traccia «Siamo soli» sulla nostra presenza nell’Universo piacque, la scelsero in tanti. «Ci criticarono perché non era vera scienza. L’anno seguente abbiamo scelto Enrico Fermi ma non l’ha scelta quasi nessuno», ricorda Favini. Alla fine il ministro più esigente di tutti è stato Tullio De Mauro. «I ragazzi capitati durante il suo anno ancora ricordano le sue scelte. Difficilissime»