Durante le ferie, ho avuto l’occasione di ammirare a lungo il Chrysler Building, il famoso grattacielo di New York costruito alla fine degli anni Venti dall’architetto William van Alen e poi intitolato all’eponimo costruttore di automobili. La cosa curiosa, accadutami continuando a guardare quell’edificio altissimo ed elegante, con la sua cuspide a raggiera diventata poi un vero simbolo dei cosiddetti “roaring Twenties”, era l’impressione di tradizionalità che emanava. Apparentemente un paradosso culturale. Tradizione e modernità sono categorie estetiche che tendiamo ad opporre, spingendoci persino a farne l’asse centrale di un modo di apprezzare le cose non raramente avvertito come esclusivo: o preferiamo la tradizione o preferiamo la modernità, tertium non datur.
Certo, forse il miracolo rappresentato da una città come New York non è altrove facilmente riproducibile. Il miracolo, voglio dire, di un luogo che riesca ad essere tradizionale e moderno allo stesso tempo e che anzi faccia proprio della modernità la propria peculiare tradizione. Eppure anche un tale paradosso miracoloso potrebbe insegnarci qualcosa senza necessariamente esigere di essere emulato. Intendo una più morbida assunzione dell’opposizione in questione, cercando insomma di non trasformarla in una contesa ideologica, anche perché, quando ciò accade, inevitabilmente accade pure che vengano spacciate per “moderne” o “tradizionali” opere che sono soltanto un’illustrazione caricaturale di quelle categorie.
Sarebbe opportuno che una riflessione analoga subentrasse allo scontro ideologico che da qualche tempo sta infuriando in Alto Adige a proposito dei criteri con i quali dovrebbero essere costruiti o ricostruiti i rifugi di montagna.
Non è infatti davvero possibile sostenere la battaglia degli uni o degli altri senza porsi prima alcune fondamentali questioni di estetica (e dunque anche di etica) architettonica. Conseguentemente, ogni intervento sul territorio dovrebbe avvenire alla luce di un più maturo inquadramento della complessa quanto inevitabile relazione dialettica tra novità e fedeltà alla tradizione. Appare inoltre assai singolare che una simile polemica si accenda sempre e solo quando si parla d’interventi d’alta quota, mentre a fondo valle o sui pendii meno eclatanti si consumano tranquillamente scempi invariabilmente riferibili sia alla più grottesca ideologia del “moderno” che a una assai mediocre interpretazione dell’“antico”.
Corriere dell’Alto Adige, 28 agosto 2012