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Tradizioni in estinzione a Mosca

Da Pulfabio

Tradizioni in via di estinzione - Mosca, Russia

Riumochnaya na Bolshoi Nikitskoi (in russo Рюмочная на Большой Никитской, ovvero "Bicchierino da vodka nella via Nikitskaya") è uno degli ultimi, forse l'ultimo locale autentico del suo genere a Mosca. Assomiglia a una vecchia osteria italiana: pochi tavoli squadrati sparpagliati in una sala non molto grande, tendine leggere alle finestre che danno sul marciapiedi, il bancone di legno, così come gli scaffali per le bottiglie e i pannelli che rivestono le pareti. Un bagno sgangherato e uno sgabuzzino/magazzino. Dicano quel che vogliono i sostenitori della modernità sofisticata a tutti i costi, per me non serve molto altro per passare un paio di quelle ore di cui sono fatti i buoni ricordi.

Appena entrati si sceglie un tavolo (dopo le sei possono essere tutti occupati), poi si va a ordinare direttamente al banco, sul quale stanno in mostra dei vassoi con i piatti del giorno. C'è un po' di tutto: carne, pesce, verdura, pietanze sia cotte che crude. Mentre la signora scalda le porzioni nel microonde si ordina da bene. Specialità della casa, va da sé, la vodka. La si ordina in grammi (sì, in grammi, quindi a peso, non in numero di bottiglie o bicchieri e nemmeno utilizzando unità di misura volumetriche). 300 grammi riempiono un'ampolla, quantità che basta a far vedere le farfalline a due persone equipaggiate con fegati ben corazzati fino all'ora di andare a dormire.

Quando tutto è sistemato sul tavolo mandiamo giù il primo bicchierino, tutto d'un fiato. Poi per creare il necessario effetto spugna ci sbafiamo uno squisito petto di pollo farcito con panna acida, delle lenticchie e un po' di pane. "Tra il primo e il secondo bicchiere non si parla!" La regola russa garantisce che tra le prime due sessioni non trascorra troppo tempo. Ma C. e io siamo degli inguaribili italiani e non ce la facciamo a sottoporci a questo rito da setta alcolica senza lasciarci andare a un paio di commenti prima di buttar giù il secondo bicchiere che, per precauzione, riempiamo solo a metà. Il cibo è davvero buono e ne ordiniamo un altro giro. 

Anche la clientela, conformandosi allo stile del locale, è caratteristica. I personaggi più pittoreschi sono degli artisti sconosciuti, semi alcolizzati. Un poeta i cui versi non hanno mai visto una tipografia ci sente parlare in italiano e si avvicina. Capelli e barba bianca, già brillo, in un inglese rudimentale si lascia andare a passatempi da bar che funzionerebbero anche da noi: battute su Putin e Berlusconi e commenti sull'immigrazione incontrollata, che nel caso di Mosca proviene dalle ex repubbliche sovietiche caucasiche e orientali. Quando la lingua franca non lo aiuta parla in russo con C., il quale traduce per me.

Poi si allontana un attimo, sgraffigna la lattina di Sprite di un signore che legge il giornale a un altro tavolo e la poggia sul suo. L'altro - una sua versione più giovane, con barba e capelli ancora neri - prima sbuffa e si lamenta un po' e poi si unisce a lui. Il nuovo arrivato parla un inglese molto più forbito e si definisce artista anch'egli, senza però specificare il campo. 

Dopo un'altra oretta di battute, commenti, chiacchiere, traduzioni, spuntini e vodka ci alziamo, ci salutiamo come fanno tutti gli ubriaconi che si rispettino - ad abbracci energici, strette di mano scomposte, alitate pesanti e frasi sentimentali - e poi usciamo barcollando dal locale, gustandoci il pizzicotto del freddo d'ottobre sulle guance infiammate dallo spirito. 

Un pezzo di tradizione che resiste nel pieno centro di Mosca, proprio davanti al conservatorio. Così come accanto ai nuovi centri benessere di lusso resistono le banye popolari, centri con saune e bagni turchi che consistono in grandi stanzoni illuminati male e arredati peggio, impianti semplici e strutture alla buona, dove gruppi di amici o colleghi passano qualche ora a chiacchierare e rilassarsi, mentre sudano vicino al forno, rabbrividiscono nella piscina ghiacciata, si frustano con ramoscelli di betulla o quercia o sorseggiano te e spiluccano spuntini all'angolo ristoro.

Sarebbe bastato poco anche da noi per avere ancora la possibilità di godersi una serata così: evitare di sostituire almeno un quarto delle nostre vecchie osterie con pizzerie alla moda o - peggio ancora - pretenziosi wine bar. Ma nella gran parte delle città che conosco lo scempio è un servizio fornito in maniera integrale, e quel piccolo sforzo di conservazione non è stato fatto. Il semplice menu dei vini di un tempo (1. rosso, 2. bianco, 3. prosecco, tutti rigorosamente "della casa") è stato sostituito da una lista di nomi per me incomprensibili che al contrario di molta gente non provo alcun piacere a far finta di conoscere. Bottiglie con splendide etichette di provenienze altisonanti, che nulla hanno a che fare col territorio e la cultura locali, serviti al bicchiere (fantastici calici di cristallo che con saccenteria dell'ultima ora tutti impugnano per lo stelo, rigonfi come botti ma riempiti con parsimonia per un terzo) al prezzo di una bottiglia del vecchio buon velenaccio
I tempi cambiano, le tradizioni muoiono. Io, da buon nostalgico, mi diverto a cercarle altrove.


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