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Trainspotting at Leith Central Station

Creato il 08 novembre 2010 da Lacapa

CataniaRomaAmsterdamEdimburgo.

Tra le tante cose per le quali è bella la Sicilia, c’è il clima, una cosa che pure in inverno puoi stare con le magliettine leggere, perché tanto meno di dieci gradi non ce ne sono mai, nemmeno a Natale, nemmeno a Capodanno, nemmeno se fanno un Papa nero. Quindi, se stai per partire per un posto dove d’estate fa caldo con diciotto gradi, ti fai prendere dall’ansia e riempi la valigia di maglioni di lana, sciarpe, calze pesantissime, cose che non metteresti mai nella tua città. Ma la valigia non è la borsa di Mary Poppins e lo spazio, dopo un po’, finisce.

Quindi ti vesti a strati, perché più abiti ti porti dietro meglio è. Alla partenza, sembri un mulo. E non ci pensi agli scali, alla scomodità, al fatto che dieci chili di zaino sulle spalle pesano, e pesa anche la custodia del computer portatile, dentro la quale hai anche infilato un bel po’ di libri, perché soffri d’insonnia e prima di andare a dormire qualcosa devi pur leggerla.

A Fiumicino invece di correre verso il mio gate avrei fatto prima a rotolare. Quando ho varcato la soglia dell’aereo per Amsterdam avrei benedetto l’inventore delle cappelliere. E l’ha benedetto anche il mio vicino di sedile, che quando m’ha vista arrivare trafelata è scoppiato a ridere senza alcun ritegno.

Aveva un nome impronunciabile e studiava sociologia. Faceva il carpentiere, prima. Prima di capire che il mestiere più bello del mondo, per uno come lui, è il maestro. Aveva gli occhi blu e i capelli biondi, la barba incolta e un bel sorriso. Trentacinque anni e un bel po’ di viaggi alle spalle. Al Futuro Maestro piace l’oriente: tornava dal Giappone, l’anno prima era stato in Iran, poi Iraq, India, Pakistan, Cina, Thailandia, Tibet. «Ci ho scritto un libro, su questi viaggi. Ho venduto ventisette copie» «Ma hai pagato, per pubblicarlo?» «No, naturalmente». Un avverbio tagliente, per un’italiana aspirante scrittrice.

Futuro Maestro beveva vino rosso e chiacchierava come se ci conoscessimo da una vita, raccontava i suoi sogni e le sue aspettative, diceva che tra un paio d’anni, finita l’Università, avrà ancora più storie da raccontare, perché insegnare agli studenti del liceo è una cosa divertentissima. Gli ho domandato se un paio d’anni non fosse una previsione troppo ottimistica: «Why?», ha risposto, stupito.

Gli ho detto che in Italia non funziona così, che ci vogliono decenni da precario. Quando me ne ha chiesta la ragione non ho saputo rispondere. «Because of Berlusconi?», ha domandato. E che gli dici? Colpa di Berlusconi?

Il guaio è che lui, giramondo di Amsterdam, dell’Italia ne sapeva quanto me, ed era stupido. Non riusciva a spiegarsi come potesse essere Premier possedendo le televisioni, come potesse andare a puttane senza che gli italiani gli ridessero in faccia, come potesse godere, nel Bel Paese, della credibilità di cui gode, ancora. Rideva, divertito. E a me veniva da piangere.

Quando siamo scesi dall’aereo, Futuro Maestro mi ha fatto il baciamano, e poi ha aggiunto che, quando mi fossi trovata a passare da Amsterdam, avrei dovuto mandargli un’email, ché magari ci si vedeva per una birra e una canna in un coffee shop. Poi s’è girato e se n’è andato, coi suoi pantaloncini corti e la magliettina smanicata, lasciandomi là, avvolta come un fagotto. Una decina di minuti dopo, correvo perché stavano per aprire l’imbarco per il mio volo per Edimburgo.

Arrivata a destinazione, mi sono messa in fila per aspettare il mio turno, e a quel punto è arrivato Lui. Lui si merita la maiuscola e nessun altro appellativo, perché è il personaggio definitivo, l’uomo conosciuto il quale sarei morta felice dopo. Alto circa un metro e ottanta, peso sui centoventi chili, barba rossa, lentiggini e sudore alcolico. Gli altri passeggeri lo schivavano come la peste, io ne ero innamorata. «I’m Scottish, baby!»: a uno che esordisce così come devi rispondere?

Sono scoppiata a ridere e ho detto: «I’m Italian, man!», imitando il suo tono. Avevo fatto breccia nel suo cuore, si capiva. Stargli accanto era quasi impossibile, per via del puzzo di alcol e marijuana che emanava dai suoi vestiti, ma sentirlo parlare era uno spasso. «If I had twentifive years less…». Oh, se avesse avuto venticinque anni in meno mi avrebbe offerto una pinta, perché ero proprio bella come il sole, secondo lui. Occhi neri, capelli ricci e «so old fashioned», e quel mio naso così romano (che è una maniera gentile per dire che ho un naso che si nota). Se avesse avuto venticinque anni in meno, Lui sarebbe tornato a Venezia, perché Venezia è «wow, just wow», e poi sarebbe venuto in Sicilia da me, perché se le siciliane sono tutte come me. Se avesse avuto venticinque anni in meno, mi avrebbe fatto da bodyguard su Leith Walk, perché Leith Walk è un posto pericoloso, calato il sole, e lui non voleva che mi accadesse niente di brutto. Se avesse avuto venticinque anni in meno, sarebbe stato «cool and rude» più di Sean Connery, perché è della stessa pasta, Lui, lo stesso tipo d’uomo, un gentleman come ce ne sono pochi.

In aereo, era seduto parecchie file dietro la sottoscritta, «like the working class», però s’è alzato, poco dopo l’inizio del volo, ha chiesto un pacco di biscotti alla hostess ed è venuto a portarmeli, facendo pure un mezzo inchino, goffo ed eclatante, come qualunque suo gesto dal momento che ci eravamo incontrati.

Il mio vicino di sedile ha riso molto. Ha staccato gli occhi dal suo libro sull’ascesa della borghesia dal 1850 al 1917 ed è scoppiato a ridere. Tedesco, lui. Studia a Edimburgo da due anni e pensa che la Scozia sia un posto fantastico nel quale vivere, se non fosse per il clima. Vuole fare il diplomatico e all’Università gli hanno pure dato un passaporto speciale, una cosa che la fai vedere ed entri senza problemi praticamente in qualunque paese del mondo. «Why Edinburgh and not London? Italians often choose London» «’Cause Edinburgh is the city of literature», ho tagliato corto, sperando di non aver colto l’ironia sottesa in quell’«Italians» così marcato.

Prima di arrivare in Scozia, il pilota ha annunciato: gli Hearts avevano vinto il derby contro gli Hibs.

Mugolii di assenso dai passeggeri, anche se a me gli Hibs stanno più simpatici, ché sono la squadra del buon Mark Renton.

E adesso eccomi qui, McDonald Road, Leith Walk. Giro per la città con una toscana, un veneto e un piemontese. Nella stanza accanto c’è un lombardo, e poi due spagnole e una svizzera. Stamattina ho conosciuto tre tedeschi e una cinese, e domani mattina non ho idea di chi sarà a lezione con me. Posti diversi, accenti diversi, idee diverse. E un sacco di whisky scozzese.


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