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Transasiatica: il Progetto Prende Forma

Creato il 24 marzo 2013 da Angelozinna

Transasiatica: il Progetto Prende Forma23 autobus, 17 navi, 20 letti. Ed è passato soltanto poco più di un mese. Non male come inizio di questo lungo viaggio verso casa, via terra, da tanto sognato. La scelta di tornare a casa dopo tre anni tra Australia e Nuova Zelanda è arrivata come ogni altra decisione avvenuta da quando ho assaggiato cosa significa vivere viaggiando. In molti mi hanno chiesto “Perché? In Italia c’è crisi, non c’è lavoro, perché non rimani dove sei?”, altrettanti hanno pensato ad un fallimento, a quello che torna perché non ce l’ha fatta. Non è proprio così che funziona, ma forse in Italia è difficile da comprendere. Non si viaggia sempre per cercare fortuna, per spostare le proprie abitudini in un ambiente più comodo, per poter fare meglio quello che già facciamo. È l’opposto, probabilmente. Si viaggia per cambiare, cambiare sempre, cercare l’esperienza e sfondare i propri limiti. Si va incontro a situazioni più difficili di proposito, si parte coscienti che dall’altro lato forse non andrà tutto liscio, ma con la consapevolezza che l’unico modo per saperlo è vedere con i propri occhi, imparando da ciò che non si conosce.

E così risiamo per strada, nel viaggio più intenso mai fatto. Il programma è semplice, tagliare l’Asia senza volare, o, almeno, senza volare quando possibile. La Birmania rimane off-limits per i viaggiatori che preferiscono stare a culo basso, e così è il Borneo malesiano, ma al contempo queste rimangono deviazioni che non mi avvicinano alla meta finale, l’Europa, e quindi pur raggiungendole con un arero, l’itinerario invece che accorciarsi diventerà ancora più lungo. Nella mia lista, le 100 cose da fare prima di morire, il punto 55 cita “Andare dall’altra parte del mondo senza volare”. Se quest’anno riuscirò a cancellarlo non lo so, ma il primo mese è andato, più o meno, come sarebbe dovuto. Dopo la bella scoperta del Timor Est, uno degli ultimi territori liberi del Pianeta dove ho avuto la possibilità di entrare in contatto con una lunga serie di interessanti personaggi e attraversare le sue collina a venti all’ora in autobus pubblici, ho messo piede in Indonesia. Il primo impatto non è stato il più felice ma l’immagine di questo popolo ha preso forma strada facendo. Dalle mete più isolate come Lamalera e Kupang, dove l’unico turista in circolazione è più un’attrazione per i locali che il luogo stesso per il visitatore, ho percorso per venti lunghe ore la contorta ma stupefacente Flores Highway, dove, tra spiagge dalla sabbia nera, cascate e vulcani, sono arrivato alla prima destinazione in assoluto di quest’isola: Labuan Bajo, il porto d’accesso al Komodo National Park, che ospita le più grandi lucertole del mondo, i Draghi di Komodo. Questi rettili mi hanno sorpreso tanto quanto il maltempo che mi ha insegnato che fare piani precisi in Indonesia, affidandosi ai mezzi pubblici, è una mossa azzardata. Ci si sposta se gli va di partire, altrimenti si aspetta, ore, giorni, a volte settimane.

A Bali incontro Lorenzo, ma per il resto è una delusione. Il nostro è stato un approccio superficiale, è vero, in quanto per problemi di visto e mazzette da pagare all’immigrazione ci siamo dovuti muovere in fretta, raggiungendo Yogyakarta, o Jogjakarta, o Jogyakarta o come cazzo si scrive, per una sosta più lunga, ma ciò che abbiamo visto è bastato. Il principale centro culturale di Java è circondato da templi, mangiare a basso costo, e i vulcani che non mancano mai. Il piano da qui continua fino a Sumatra, da dove salperemo, spero, per la Malesia, alla ricerca del miglior street food di Penang, e poi delle bestie più rare in Borneo. Salendo poi, tra autobus e treni, toccheremo la Thailandia, per poi fermarci un mese in Cambogia a mettere insieme il materiale di questa prima tratta, e produrre un po’ di lavoro prima di passare ai territori più ricchi dell’Asia meridionale, Birmania, India e Nepal. Quanto tempo ci vorrà? Non lo sappiamo. Raggiungeremo ogni luogo che vorremmo vedere? Non sappiamo neanche questo. Ma non importa, con i sei mesi concessi in India le attrazioni turistiche diventano quasi secondarie.

Dopo l’Everest e l’Annapurna il Tibet è alle porte. Le storie qui sono pessimiste, i racconti di altri viaggiatori non aiutano e non sappiamo se sarà possibile passare via terra. Ci proveremo, ma è una scommessa. La traversata vera e propria comincerà dalla Cina, stagione permettendo. Mongolia, Kazhakstan e il Mar Caspio si stendono di fronte a noi. L’inverno potrebbe impedire il viaggio, il budget anche, ma è troppo lontano per pensarci. Sappiamo poco, e ciò che sappiamo cambierà.

Questo viaggio sta lentamente prendendo forma sotto i nostri piedi sporchi, e giorno dopo giorno, ci avviciniamo a passo di lumaca sempre più vicino. Delle 17.500 isole indonesiane ne vedremo una decina, degli animali tra i più rari ancora non si sa. I tempi non si misurano, così come i chilometri. Pronti a perderci in ogni momento, sperando di perderci in ogni momento, ci muoviamo con pazienza. Magiamo poco, spendiamo altrettanto poco. Dormiamo su letti duri e stringiamo mani sudate. La transasiatica è cominciata.

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