Anno: 2012
Durata: 100′
Produzione: MRF5 mus&film; in collaborazione con Rossellini Film & TV
Genere: giallo/musicale/noir
Nazionalità: Italia/Brasile
Regia: Luigi Cinque
Musica e metafisica: poca reale magia
Il primo e l’unico lungometraggio italiano del concorso nazionale che ho incluso nelle mie visioni riffiane. Transeuropae hotel viene definito dal suo autore (Luigi Cinque) come la descrizione di qualcosa di magico e di scientificamente possibile. Sulla carta, un viaggio nell’ esoterismo e nella scienza e poesia della musica. Nella sua indeterminatezza, invisibilità, energia, nel salto di materia che produce. Un gruppo di jazzisti internazionali in ritiro nelle meravigliose saline di Trapani, l’ingresso ‘destabilizzante’ di due donne brasiliane della favela, la rivelazione della sparizione nel nulla di un famoso percussionista e la trasferta brasiliana di Luigi Cinque e Pippo del Bono alla ricerca del mago-vate, possessore (forse) della formula musicale capace di far riapparire l’amico scomparso. La focalizzazione tematica che Cinque ha tentato di mutare in visione cinematografica, contiene in sé, potenzialmente, una interessante e stimolante riflessione sul concetto di suono e materia, farcita di ‘spiegazione’ scientifica da Giuseppe Vitiello, docente universitario di Fisica. Ogni personaggio musicale e non che la popola, recita se stesso, dentro un canovaccio narrativo i cui ganci vengono fissati e mappati dai testi di Rossana Campo e Valerio Magrelli. Peppe Servillo, Pippo Del Bono, Badara Seck emergono nella rispettiva autenticità e forza emotiva, regalandoci momenti di grazia isolata. Il resto della narrazione, a parte i paesaggi naturali e umani rivelatori della Sicilia e del Brasile (rivelatori di se stessi a prescindere), è fiacca e poco ritmica. Autoreferenziale, un po’ supponente in certi molli tentativi di elevarsi attraverso frasi fatte o atmosfere di maniera. Qualche buona intuizione visiva di un occhio che si allarga, approfondisce, sfuma, taglia il proprio campo, andando oltre la pura rappresentazione, emerge. Ma la magia della musica, quell’incontro tra spirito e materia che rende tutto possibile, anche la dissoluzione e la ricomposizione, il viaggio emotivo-dimensionale, non la percepiamo. Tutto è troppo ‘attaccato alla terra’: parole e immagini inciampano molte volte nel prevedibile del già visto e già detto.
Maria Cera