Che fu Monsignor Domenico Amoroso, (nel ’92 vescovo di Trapani), a inviare al Viminale le lettere fattegli arrivare da familiari di mafiosi detenuti al carcere duro i quali protestavano per il regime di 41 bis e chiedevano un’intercessione della Chiesa per far sapere allo Stato che le stragi sarebbero cessate se fosse stato revocato il regime di carcere duro, è quanto si sostiene in un articolo di Alessandra Ziniti pubblicato sulla edizione online di Palermo de “La Repubblica”.
Il testimone eccellente che avrebbe potuto forse raccontare un pezzo di verità nella complessa ricostruzione storica della trattativa tra Stato e Cosa nostra nella stagione delle stragi non c’è più, essendo venuto a mancare per malattia nel 1997, nel ma un suo appunto riservato inviato in quei mesi caldi al ministero dell’Interno si va ad incastrare perfettamente in quel puzzle della memoria ritrovata da molti politici ed esponenti delle istituzioni che nel ’92 ricoprivano ruoli di vertice.
La vicenda tornerà di attualità già nella prossima udienza del processo Mori. Infatti sarebbe stato Totò Riina, che in quel periodo trascorreva la latitanza nel Trapanese, a sollecitare questa “trattativa” della quale sarebbero stati informati i ministri di Grazia e giustizia Conso e quello dell’Interno Mancino.
Nessuno dei due, però, ha mai raccontato di queste lettere ai pubblici ministeri che si occuparono della trattativa.
In particolare non lo disse Conso al pubblico ministero di Firenze Gabriele Chelazzi a cui invece ne avrebbe parlato il comandante dei Ros Mario Mori..
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