Se il protagonista, Henry, non avesse ventiquattro anni, il secondo romanzo di Michael Dahlie, titolo originale The Best of Youth, potrebbe essere considerato una perfetta storia di formazione.
Giovane Holden o “giovane” James (P. Cameron) un po’ cresciuto che sia Henry è ingenuo, onesto e timido ma anche sagace, ironico e talentuoso allo stesso tempo. Travolto dal vortice della vita culturale e artistica di Williamsburg, il quartiere più cool e alternativo di Brooklyn, dove abita, Henry passa il tempo tra un aperitivo, una cena in ricercati ristoranti europei, feste e improbabili appuntamenti amorosi.
Tra un impegno e l’atro Henry trova però anche il tempo di scrivere i suoi racconti, tutti con protagonisti ultraottantenni: «una storia su un’ottantacinquenne che non era mai stato amato dall’altra persona come avrebbe dovuto» o quella «del novantenne che lottava con il dolore per aver messo la madre centoseienne in una casa di cura».
La domanda allora nasce spontanea sulle nostre e sulle labbra del suo carissimo amico Whitney: «Ma perché? […] lo dico solo perché mi piacciono i tuoi racconti. Li amo terribilmente. Voglio dire, ne sono rimasto colpito. Ma a cosa servono? Perché tutti quei fottuti vecchiacci?».
La risposta invece è spiazzante: «Immagino di non saperlo».
Nonostante la sua ricca vita mondana Henry però è un’anima fragile. I suoi amatissimi genitori, morti da poco in un incidente nautico, gli hanno lasciato due cose importanti: quindici milioni di dollari e un vuoto incolmabile che per tutta la lunghezza della storia Henry cerca di colmare.
Forse basterebbe l’amore della sua bella cugina di quarto grado che però non lo ricambia, di certo non basta quello delle sue brevi e disastrose storie dai finali bruschi quanto umilianti. Allora forse la vita in campagna, se non gli fosse capitato di sterminare un gregge di preziosissime capre libiche.
Ma una disavventura tira l’altra, come le ciliegie, e allora perché non farsi arrestare per possesso di armi illegali, per pura casualità e ignoranza ovviamente, oppure diventare il ghost writer di un famosissimo e odiosissimo attore di Hollywood?
La strada che percorre Henry è in salita, soprattutto perché da ogni disastro verrà di volta in volta fuori qualcosa di buono e lui sarà lì pronto a coglierlo con candida nonchalance e, sul finale, il nostro protagonista non mancherà di prendersi le sue soddisfazioni.
Come a dire: per trovare sé stessi, alias fare ciò in cui si crede, bisogna avere il coraggio di rischiare ed essere pronti a subirne le conseguenze.
La storia è tutta cucita stretta intorno a lui. La telecamera lo segue così da vicino da delineare con estrema precisione ogni suo pensiero, salto emotivo e crescita interiore, tanto che si può arrivare ad affermare che il romanzo è Henry stesso, meravigliosamente Henry: ironico, divertente, scorrevole. Catartico. Impossibile non sentirsi vicini alla sua semplicità così complessa, impossibile non arrivare ad amarlo o a non identificarsi in una delle sue paure, delle sue umiliazioni e, infine, delle sue conquiste.
Ben lungi dall’essere la storia di un giovane verso il successo, come il titolo italiano può lasciare intendere, Trascurabili contrattempi di un giovane scrittore in cerca di gloria illumina la faticosa strada percorsa da un giovane alla ricerca di sé stesso e della propria cifra stilistica come autore. Che poi, forse, è la stessa cosa.
Nota sull’autore
Michael Dahlie vive a Indianapolis e insegna alla Butler University. Ha pubblicato racconti su numerose riviste, come Harper’s, Ploughshares e Tin House. Con il suo romanzo d’esordio, Guida per gentiluomini all’arte di vivere con eleganza (Nutrimenti, 2011), ha conquistato lettori e critica vincendo il Pen/Hemingway Award e il Whiting Writers’ Award. Questo il suo sito.
Per approfondire
leggi la recensione di Francesco Longo sul Corriere della Sera
leggi la recensione di Giuseppe Culicchia sulla Stampa
leggi la recensione di Francesca Frediani su D