La sentenza del 10 settembre 2013, n. 20728 della suprema Corte di Cassazione che riguardava il trasferimento d'azienda di un lavoratore, ha potuto chiarire alcuni importanti aspetti relativi all'argomento; in particolare, la Corte, affermando che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento, risultando coerente anche con la normativa comunitaria ed i principi costituzionali, che perseguono il fine di evitare che "il trasferimento si trasformi in semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità, sia dell'attitudine a proseguire con continuità l'attività produttiva".
Deve intendersi, secondo i giudici, per "ramo d'azienda", ai sensi dell'art. 2112 cod. civ., "ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, il che presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente e non anche una struttura produttiva creata "ad hoc" in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito".
La sentenza sottolinea che non è riconducibile alla nozione di cessione d'azienda il contratto con il quale viene realizzata la cd. esternalizzazione dei servizi, ove questi non integrino un ramo o parte di azienda nei sensi suindicati; per queste ragioni, correttamente è stata esclusa la sussistenza dei requisiti per configurare la cessione di ramo dì azienda nel trasferimento, da una società ad altra, del ramo d'azienda "Logistica fisica", considerato che di esso non erano state chiarite struttura e dimensione, né provata la connessione della professionalità del personale addettovi con le attività del preteso ramo, né l'autonomia organizzativa, e che, inoltre, l'articolazione funzionale ceduta si caratterizzava per la estrema eterogeneità delle attività e capacità professionali dei lavoratori che vi erano addetti e per la mancanza di qualsiasi funzione unitaria, suscettibile di farla assurgere in qualche modo ad unitaria "entità economica". Pertanto, nel caso esaminato, alla luce delle suddette considerazioni, la Corte ha rigettato il ricorso condannando la Società al pagamento delle spese processuali.
Segnalo, a questo proposito un esauriente articolo del Prof. Mario Meucci sui presupposti di genuinità del trasferimento di ramo d'azienda