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Trasformazione del Senato: deriva autoritaria o riforma epocale?

Creato il 31 marzo 2014 da Molipier @pier78
Trasformazione del Senato: deriva autoritaria o riforma epocale?

Questo pomeriggio il Consiglio dei Ministri approverà il disegno di legge per trasformare il Senato nella Camera delle Autonomie.

Il nuovo organo, a meno di modifiche dell’ultima ora, sarà composto dai Presidenti di Regione, da due persone (per Regione) elette dai Consigli Regionali, da tre sindaci (sempre per ogni Regione) eletti da un’assemblea dei sindaci e infine da ventuno persone nominate dal Capo dello Stato con gli stessi criteri seguiti oggi per la nomina dei senatori a vita.

Questi i membri. Per quanto riguarda le competenze, punto fondamentale e perno dell’intera riforma è la fine del bicameralismo paritario: l’organo politico a cui spetterà l’approvazione delle leggi ordinarie sarà esclusivamente la Camera dei Deputati. Oggi, invece, ogni testo di legge deve essere approvato da entrambe le Camere e, quando una Camera decide di cambiare anche solo una parola di una legge, la legge deve essere riapprovata dall’altra Camera. Una perdita di tempo e uno spreco di risorse – non solo economiche -che non ci possiamo più permettere.
Di cosa si occuperà quindi la Camera delle Autonomie? Innanzitutto, come avviene oggi per il Senato, avrà il compito di eleggere il Presidente della Repubblica, dovrà approvare gli atti dell’Unione Europea, le leggi costituzionali, leggi di revisione costituzionale e potrà decidere (entro dieci giorni) se dare o meno un parere sulle leggi approvate alla Camera. Nel caso decidesse di farlo avrà trenta giorni di tempo per esprimere un parere, comunque non vincolante. Questo in linea generale – a meno di variazioni – sarà il nuovo Senato.

Ora occupiamoci delle polemiche che su questo tema ci sono state nei giorni scorsi.

A questo proposito, ho trovato imbarazzante l’appello “La svolta autoritaria” firmato da Rodotà e Zagrebelsky. I due costituzionalisti vedono nel monocameralismo  il rischio di un “sistema autoritario che dà al Presidente del Consiglio poteri padronali”. Nell’appello insistono molto sul fatto che la fine del bicameralismo perfetto sia una riforma da sempre voluta da Silvio Berlusconi (nominato quattro volte in poche righe) e chiedono quindi di “fermare subito, con determinazione, questo progetto”.
In sostanza, non essendoci critiche nel merito del progetto di riforma (è implicitamente tutto sbagliato), questo appello rappresenta in modo plastico l’immobilismo a cui questi veterani signori hanno costretto – o perlomeno collaborato a farlo -  il nostro Paese per tutti questi anni. Non si può utilizzare il nome di Berlusconi per dire che una riforma è sbagliata. Poteva essere sufficiente fino a qualche anno fa. Ora il Paese ha imparato a guardare avanti: i mostri del passato non devono essere una palla al piede ma una spinta per fare meglio.
Avevo tanto apprezzato l’impegno di questi due costituzionalisti nel cercare di fermare lo stravolgimento dell’articolo 118 della Costituzione, che sono rimasto veramente deluso dall’assenza di significato del loro appello.

Critiche interessanti sono invece quelle del Presidente Pietro Grasso che, benché molti abbiano letto come un tentativo di bloccare la riforma, sono critiche di merito che servono a migliorare la riforma stessa. Grasso innanzitutto pone il tema della composizione della Camera delle Autonomie: secondo lui è sbagliato che gli amministratori locali (Presidenti di Regione e Sindaci) assumano anche funzioni legislative seppur, come abbiamo visto, limitate. Grasso immagina “un Senato composto da senatori eletti dai cittadini contestualmente alle elezioni dei Consigli Regionali e da consiglieri regionali eletti all’interno dei Consigli Regionali stessi”. I presidenti di Regione e i Sindaci delle aree metropolitane dovrebbero invece far parte della assemblea senza diritto di voto. Le competenze che il Presidente del Senato immagina per il futuro organo sono sì quelle di coordinamento degli interessi locali e nazionali, come immaginato dal Governo, ma anche di “controllo e di garanzia” (inchieste e approfondimenti delle Commissioni) sull’operato della Camera dei Deputati.

Infine, una critica formulata da Grasso che condivido pienamente è la seguente: non si può riformare un assetto istituzionale mirando esclusivamente al risparmio monetario. È un aspetto insignificante e comunque raggiungibile anche in altri modi. Ciò che conta è rendere governabile un Paese esattamente come avviene nel resto d’Europa.

Gli economisti puri, al contrario dei manager, visualizzano i costi come costi opportunità: a quanto rinuncio se utilizzo un bene in un modo piuttosto che in un altro (se coltivo un terreno piuttosto che affittarlo, nei costi del terreno devo inserire anche il costo del mancato affitto). I costi della politica, più che costi monetari, sono esattamente il costo di opportunità mancate per colpa di una classe dirigente non all’altezza e di un assetto istituzionale non adeguato. Il primo aspetto può anche essere soggettivo, il secondo no ed è giunto il momento di cambiarlo.


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