“Come Regioni abbiamo accettato un taglio da 1,5 miliardi sul fondo per la salute, ma come contropartita abbiamo chiesto che qualche centinaio di milioni vada al Trasporto pubblico locale”. Così Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte per il Pd e presidente della Conferenza delle Regioni, ha annunciato in queste ore il compromesso raggiunto sul nodo dei 4 miliardi di tagli previsti proprio per le Regioni dalla Legge di stabilità del Governo. Qui avevamo già parlato di come la lagna degli enti locali sulle spese da ridurre fosse decisamente fuori luogo. Adesso tentiamo di approfondire quanto ci costa il Trasporto pubblico locale (TPL) per il quale le Regioni hanno strappato “qualche centinaio di milioni”. Di soldi nostri, ovviamente.
In estrema sintesi, possiamo dire che in Italia il Trasporto pubblico locale – cioè autobus, metropolitane e treni urbani gestiti dal settore pubblico – ci fa perdere molto tempo, nella vita di tutti i giorni, e anche molto denaro, al momento di pagare le tasse. Perlomeno in confronto al resto d’Europa.
QUANTO TEMPO PERDIAMO. Milano è la prima città più congestionata d’Europa, Roma è la settima. Nella capitale della Lombardia, ogni anno, si perdono in media 72,6 ore nel traffico, quasi tre giorni consecutivi, considerando mattina, pomeriggio e notte; nella capitale del Lazio 47,6 ore all’anno. Per la Commissione europea, l’eccesso di traffico costa come il 2-3% di Pil. Se automobilisti e motociclisti sono tanti al punto da “congestionare” in maniera critica le nostre città, questo dipende in larga parte dall’inefficienza del trasporto in comune, pubblico o privato che sia. In Italia però il trasporto in comune è soltanto pubblico. E si vede. Infatti Confcommercio, in un suo recente studio, ha valutato quelle che chiama “connettività”, cioè la facilità di spostamento dentro i centri urbani. Conclusione: dal 2001 al 2010 “la media nazionale” della connettività urbana “evidenzia un peggioramento del 15%, che appare particolarmente grave se rapportato ai trend positivi registrati invece tra i principali competitor europei, Germania in primis”. Secondo una stima della Cassa Depositi e Prestiti, “il maggiore utilizzo dell’auto per gli spostamenti all’interno delle città italiane di medie-grandi dimensioni, connesso all’inadeguatezza della rete di TPL e alla bassa qualità del servizio offerto, rappresenta per le famiglie italiane un extra-costo rispetto alla media europea stimato pari a circa 6 miliardi di euro all’anno, una sorta di spread della mobilità inefficiente”.
QUANTI SOLDI PERDIAMO. Si legge nello stesso recente studio della Cassa Depositi e Prestiti: “Le aziende del trasporto pubblico locale (…) ammontano a circa 1.120, comprendendo sia gli operatori del TPL in senso stretto (metropolitane, tranvie, filobus, autolinee), sia le imprese ferroviarie regionali, e impiegano circa 116.500 addetti”. Secondo la ricerca più recente, firmata da Carlo Cottarelli, Commissario del Governo alla Spending review, siamo di fronte a “un settore in costante perdita” che “in termini assoluti” costa alla collettività 7,2 miliardi di euro l’anno. Da dove arrivano questi soldi? Nel 2012 è stato istituito il Fondo nazionale trasporti, per 4,9 miliardi di euro l’anno, finanziato con le accise su benzina e gasolio. A questi, e in aggiunta a decine di milioni di euro per l’ammodernamento dei mezzi di trasporto, per arrivare a coprire il fabbisogno si sommano altre risorse regionali che in realtà sono sempre frutto di trasferimenti nazionali. Con il solito paradosso che quella che è una competenza regionale, ormai dal 1997, continua a essere di fatto finanziata tutta da Roma.
In assoluto, parliamo dunque di numeri importanti. Per fornire un servizio, come scrivevamo sopra, tutt’altro che ottimale. Ma i paragoni con il resto d’Europa rendono ancora meglio l’idea della quantità di sprechi che sarebbe possibile eliminare. Secondo uno studio del 2012 della società di consulenza Bain&Company, ripreso quest’anno anche dal Commissario Cottarelli, far viaggiare un mezzo qualsiasi del trasporto pubblico locale, in Italia, costa 3,3 euro al chilometro. In Spagna costa 3,2; in Germania 2,8; nel Regno Unito 1,8. Abbiamo i costi più elevati, ma i ricavi più bassi: 1,4 euro ricavati da traffico per singolo chilometro in Italia; 1,5 nel Regno Unito; 2,2 in Spagna; 2,4 in Germania. L’Aci e la Fondazione Caracciolo, utilizzando dati della metà degli anni 2000 tratti dai bilanci dei gruppi del settore, sono arrivate a conclusioni simili, così riassunte in un’utile tabella:
“Come si vede, in Italia i costi di produzione del servizio sono nettamente superiori rispetto alla media europea (3,5 contro 2,7) e ciò sicuramente si spiega in parte con il minor numero di km fatti in media da ciascun addetto (17.060 contro 19.763). A fronte di ciò, il prezzo del biglietto ordinario è quasi la metà (0,84 contro 1,63) con evidenti ripercussioni sui ricavi da traffico per km (1,08 contro 1,34); il risultato combinato di questi fattori è che il grado di copertura dei costi in Italia è nettamente inferiore a quello medio in Europa (30,7% rispetto a 52,1%)”. E pensare che per legge, entro il 2000, i costi coperti dai ricavi da traffico avrebbe già dovuto raggiungere il 35% del totale!
I costi per il personale, come al solito quando si tratta di aziende municipalizzate che funzionano a mo’ di “mangiatoia” per la politica locale, sono enormi. Basti dire che Atac, la società romana del trasporto pubblico locale, quella con maggiori perdite in tutto il Paese, spende 46 mila euro per ciascuno dei suoi quasi 12 mila dipendenti, la maggior parte amministrativi e pochissimi autisti, per un totale di 550 milioni l’anno (altre cifre spaventose sul caso Atac sono in un rapporto dell’Istituto Bruno Leoni).
AUTOBUS PIENI, DISORGANIZZAZIONE MASSIMA. Un’ultima curiosità, per dimostrare – se ce ne fosse ancora bisogno – che la soluzione di questa situazione disastrata dei trasporti pubblici non consiste certo nell’aumentare la spesa pubblica a essi destinata. Infatti quello che gli esperti del settore chiamano “load factor”, cioè il coefficiente di occupazione del trasporto pubblico locale – per intenderci: quante persone viaggiano sul singolo autobus o sul singolo vagone – nel 2012 non raggiungeva nemmeno il 25% (contro circa il 45% di Francia e Spagna). Ciò vuol dire che, in termini quantitativi, l’offerta di trasporto pubblico è ancora superiore alle reali necessità della domanda. Chi è abituato a rimanere schiacciato e soffocato sugli autobus cittadini nell’ora di punta, non si stupisca: è l’ennesimo paradosso che nasce da una organizzazione dilettantesca del Trasporto pubblico locale. Un servizio concepito più per utilizzare i soldi del contribuente ai fini di assunzioni clientelari che per corrispondere un servizio utile a chi lo paga.