Oggi a Siracusa: Si è da poco conclusa l’udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia durante la quale ha avuto luogo l’esame del collaboratore di giustizia Rosario Naimo, colui che per Salvatore Riina era l’anello di congiunzione fra Corleone e l’America.
Rosario Naimo, dal 1967 al 1989 sta in America dove si occupa di gestire il contrabbando internazionale della droga ma, durante tutto questo periodo è comunque a conoscenza di tutto ciò che avviene in Italia e ritorna con molta frequenza continuando, in quelle occasioni, a frequentare esponenti mafiosi quali il ‘Biondino’, Ferrante, Gambino, le famiglie di San Lorenzo, Bagarella e tutti i corleonesi.Negli anni ’70 afferma di aver chiesto a Riina se fosse possibile per lui affiliarsi anche a una famiglia mafiosa americana e che quest’ultimo avrebbe rifiutato per affetto, dicendo “Saruzzo, tu devi rimanere con noi”.
Interrogato dal dottor Del Bene, Naimo riferisce di aver conosciuto Riina, in occasione di un viaggio che fece insieme a Domenico Coppola, nel 1972 a Catania presso un villino in campagna dei fratelli Calderone. “Mi sono presentato ed è nata la storia d’amore con il signor Riina”; dalle parole di Naimo viene fuori che “non erano tante le persone che Riina amava, ma il nostro rapporto era bello, semplice, solo una volta abbiamo avuto una divergenza ma solitamente andavamo d’accordo, mi voleva veramente bene e me lo dimostrava in tutte le maniere.”
Parla di Riina come una persona precisa, attenta e seria, se si può parlare di serietà in Cosa Nostra.
Intorno agli anni ’80, gli obiettivi di Riina varcano anche l’Oceano.
Naimo racconta dell’incontro con Benedetto Villico, un affiliato della famiglia di Passo di Ricano, sposato con una delle sorelle dei vecchi Inserillo, il quale intorno al 1981 era uno dei cosidetti ‘scappati’, ossia uomini che avevano cercato rifugio dalla guerra di mafia in America o altrove. Rosario Naimo era stato incaricato da Michele Greco di tenere sotto controllo gli ‘scappati’ arrivati in America, perché qualcuno era già morto e per gli altri la guerra di mafia doveva fermarsi lì: sostanzialmente, doveva loro essere impedito di organizzare privatamente qualsiasi forma di vendetta.
“Verso la seconda metà degli anni ’80, venne da me – dichiara Naimo – Benedetto Villico, accompagnato dal suo giovanissimo nipote Salvatore Inserillo detto ‘Nasone’, per portarmi un messaggio che gli aveva dato Angelo La Barbera che lo aveva ricevuto da parte di Salvatore Riina: si deve ammazzare il procuratore distrettuale di New York, Rudolpf Giuliani, il più presto possibile. Rimasi sorpreso, dissi che non ero d’accordo perché ci saremmo messi contro tutta l’America e saremmo dovuti scappare.”Naimo continua raccontando di un incontro successivo avvenuto in Italia, nel 1985 o nel 1987, con Totò Riina, in cui parlarono ancora di questo progetto e, anche in quell’occasione, lui esternò delle perplessità; “Questo fatto non si fa, zio Totuccio”.
Il collaboratore si sofferma sull’insistenza di Riina nel voler eliminare Giuliani in quanto appoggiava Falcone e lo scopo del boss era proprio quello di isolare il giudice nel mirino da amicizie importanti che potessero essergli di supporto. Riina avrebbe detto: “Qui vogliono così”. Ma se – come dice anche Naimo – “Riina era il tutto di Cosa Nostra e solo Dio dal cielo poteva dargli disposizioni”, allora a chi era riferito quel ‘vogliono’? “A politici, o ad appartenenti ai servizi segreti, o comunque a qualcosa al di sopra di noi perché nessun affiliato poteva dire cosa voleva a Riina” – continua Naimo, senza poter essere però più preciso perché Riina non scese mai nello specifico e lui non osava chiedere perché “fare una domanda specifica a Cosa Nostra significava volersi fare ammazzare” – conclude il collaboratore.
Durante il dibattimento, vengono fuori rapporti vecchi che hanno relazioni con questa vicenda come quello con Giuseppe Giacomo Gambino che in quegli anni era il capo mandamento di San Lorenzo e soprattutto quello con il dottor Antonino Cinà, laureato in neurologia e medico di famiglia di Riina, di Provenzano, di Riccobono, di Gambino, e formalmente affiliato a Cosa Nostra.
“Cinà è la chiave dei misteri che riguardano questi fatti della Trattativa in Italia”, queste sono le parole che Naimo aveva precedentemente detto in un interrogatorio con il dottor Antonio Ingroia all’inizio della sua collaborazione con la giustizia.
Oggi, in risposta a una domanda fatta dal pm Del Bene, il collaboratore racconta le dinamiche di un incontro avvenuto nell’ottobre del 1992 con Riina al quale era presente anche Matteo Messina Denaro che Naimo incontrava per la prima volta: “Durante l’incontro – dichiara Naimo – parlammo dell’intenzione di Cinà di andare in America, non definitivamente ma per un viaggio di relax di 3 mesi, sempre dopo aver ricevuto il loro permesso. Ma loro non volevano: sarebbe stata una perdita troppo grossa in quel momento in cui cercavano di contrattare per avere privilegi seri per i mafiosi e, in particolare, per i carcerati. Dopo il Maxiprocesso, Riina era arrabbiato perché [il soggetto manca sempre] non avevano mantenuto le promesse, nonostante lui avesse anche investito molti soldi, nell’ordine di milioni.”
Continuando, Naimo racconta anche di un incontro casuale – del quale non riesce a precisare esattamente il periodo – avuto con Nino Cinà e di un passaggio in macchina che accettò da questi e che gli diede la possibilità di parlare con lui e di capire che non stava bene: “Prese una pillola per l’ipertensione, la mandò giù senza acqua. Mi disse che era stanco di cercare contatti e fare incontri con gli esponenti politici e i medici dell’alta società, e che si sentiva gravato da tutte queste responsabilità che pesavano sulle sue spalle. Era chiaramente uno sfogo. Erano tempi in cui nessuno era sereno, la preoccupazione si leggeva nel volto di tutti, ma lui era più nervoso del solito e più degli altri perché era eccessivamente caricato di belle responsabilità”.
Nella seconda fase dell’udienza, è stata data la parola agli avvocati difensori che hanno potuto fare delle domande di chiarimento o approfondimento a Rosario Naimo, collaboratore di giustizia da oramai quattro anni.
In conclusione, è intervenuto il dottor Antonino Di Matteo che ha focalizzato l’attenzione sul cuore della questione della trattativa: “ ‘Na poco l’ama eliminare! ” – dice Naimo riportando le parole pronunciate da Totò Riina dopo esser venuto a conoscenza dell’esito della sentenza finale del Maxiprocesso; parole che denotano una rabbia dovuta al mancato mantenimento di promesse costate grandi sacrifici.
Il processo è stato rinviato alle ore 9.30 del 10 aprile 2014 sempre presso l’aulabunker dell’Ucciardone di Palermo. Avrà luogo l’esame del collaboratore di giustizia Stefano Lo Verso.