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Traviata a Glyndebourne

Creato il 11 agosto 2014 da Gianguido Mussomeli @mozart200657
Foto ©Richard Hubert Smith

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Come ben sanno coloro che seguono i miei resoconti, da tempo sono diventato molto pessimista sulla possibilità concreta di allestire esecuzioni delle opere di Verdi che non distruggano i contenuti musicali e teatrali ideati dal compositore. Finalmente, dopo decine di autentici disastri perpetrati sulle scene dei maggiori teatri internazionali, la diretta streaming della nuova produzione di Traviata allestita a Glyndebourne ha portato un segnale positivo. Sapete bene che i miei giudizi sono sempre abbastanza radicali e che nei miei post non mi lascio impressionare dal nome o dalla fama usurpata della maggior parte dei cosiddetti divi della scena lirica di oggi. Per questi motivi, non temo di sbilanciarmi anche in senso positivo e pertanto affermo tranquillamente che questa produzione è senza ombra di dubbio la migliore esecuzione verdiana da me ascoltata negli ultimi anni. Finalmente una vera Traviata, ben cantata e diretta ma soprattutto allestita in modo esemplare, con una perfetta comprensione degli aspetti teatrali e della drammaturgia ideata da Verdi. Non sono il solo a pensarla in questo modo, visto che tutta la stampa inglese e anche i più autorevoli blogger britannici, come per esempio il seguitissimo Mark Ronan, hanno espresso giudizi unanimemente lusinghieri su questo spettacolo messo in scena dal celebre festival che si svolge nel piccolo paese omonimo situato vicino a Lewes, nella contea del Sussex.

Facciamo un piccolo excursus storico. Come tutti sanno, il Glyndebourne Festival Opera fu fondato nel 1934 dal miliardario inglese John Christie, un proprietario terriero che aveva fatto fortuna come fabbricante di organi e che, in seguito al matrimonio con il soprano canadese Audrey Mildmay, aveva deciso di costruire un teatro nella sua residenza a Glyndebourne, per impiantarvi un festival dedicato alle opere di Mozart, in esecuzioni al miglior livello qualitativo possibile. Per occuparsi della direzione musicale e artistica, Christie ebbe la fortuna di poter contare su tre grandissime personalità rifugiatesi nel Regno Unito dopo essere fuggite dalla Germania nazista: il direttore d’ orchestra Fritz Busch, il regista Carl Ebert e il manager Rudolf Bing, il quale insieme a Ebert aveva realizzato a Darmstadt una serie di spettacoli che avevano rivoluzionato il concetto stesso di regia operistica e che dopo la guerra fondò l’ Edinburgh Festival e poi divenne General Manager del Metropolitan dal 1950 al 1972. Fin dagli inizi dell’ attività le produzioni del Glyndebourne Festival Opera, che col tempo ampliò il repertorio includendo opere dell’ Ottocento italiano e francese, del Barocco e molte prime assolute di compositori moderni come Britten, sono diventate un vero e proprio esempio di riferimento per la qualità musicale e l’ accuratezza delle realizzazioni sceniche.

Foto ©Richard Hubert Smith

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Lo stile esecutivo degli spettacoli di Glyndebourne si basa su tempi lunghi di preparazione e prove minuziose e accurate. Per queste ragioni, il festival del Sussex ha sempre evitato di ricorrere ai divi internazionali, preferendo puntare su professionisti affidabili e giovani talenti emergenti. Per fare un esempio, il Glyndebourne Festival Opera fu uno dei primi teatri ad accorgersi del giovane Luciano Pavarotti, affidandogli la parte di Idamante nell’ Idomeneo nel 1964, Anche il cast di questa nuova Traviata era assemblato secondo questi criteri, con due protagonisti nemmeno trentenni affidati alle cure di una bacchetta solida ed esperta e di un regista che è un autentico uomo di teatro. Da questa combinazione è venuto fuori uno spettacolo davvero esemplare per la cura di una recitazione curata nei minimi particolari e per un’ atmosfera complessiva avvincente nella sua perfezione e raffinatezza di realizzazione. Niente Alfredi pizzaioli, tronisti seminudi o Wanna Marchi in scena, solo uno scrupoloso rispetto di tutte le indicazioni sceniche previste da Verdi era il criterio di fondo della messinscena di Tom Cairns, sessantaduenne regista teatrale e televisivo nordirlandese, stimatissimo nel mondo teatrale britannico come autore di pregevoli realizzazioni per i massimi teatri di prosa londinesi come il Royal National Theatre e l’ Old Vic. La sua lettura di Traviata si basava sulle scenografie minimaliste di Hildegard Bechtler, autrice anche dei costumi di taglio novecentesco ma non riferiti a un’ epoca precisa; Violetta durante le scene di festa indossa abiti di stile edoardiano e gli altri personaggi vestono abiti alla moda di vari periodi, dagli anni Trenta agli anni Sessanta. Stupende le luci di Peter Mumford, in particolare durante la scena della festa in casa di Flora, in cui l’ illuminazione giocata su sfumature di verde, viola e rosso moltiplicava in maniera efficacissima l’ atmosfera di progressivo accumulo della tensione delineata dalla musica. Ma ciò che rendeva questa messinscena assolutamente memorabile era la recitazione di tutti i personaggi, sulla quale Tom Cairns ha lavorato nei minimi dettagli e con una cura da vero grande uomo di teatro. Strepitosamente efficace la scena del gioco, con un gioco di sguardi e di controscene che creava un’ atmosfera di tensione spasmodica e stupendo, veramente da manuale il modo con cui il regista ha risolto il finale. Violetta dopo aver cantato il terzetto semisdraiata fra le braccia di Annina che la bacia sulla fronte in segno di addio, viene illuminata da un cono di luce che la isola dagli altri personaggi e si incammina lentamente verso il fondo della scena stramazzando al suolo proprio sull’ ultimo accordo orchestrale in fortissimo. Un effetto straordinariamente intenso nella sua essenziale tragicità, che suggellava in maniera splendida una regia assolutamente esemplare per la tensione narrativa del racconto unita allo scrupoloso rispetto per i contenuti musicali e drammatici dell’ opera.

A completare in maniera perfetta l’ unità drammaturgica di questa produzione ha provveduto ll direttore d’ orchestra, che era il sessantasettenne Sir Mark Elder. Si tratta di un musicista che sinceramente conoscevo poco ma che, almeno per quanto riguarda questo spettacolo, si è rivelato davvero un grande direttore d’ opera. Una Traviata dall’ atmosfera morbidamente malinconica, basata su un’ espansione melodica struggente e un gioco raffinatissimo di colori al pastello, realizzati in maniera magnifica da una London Philharmonic davvero in stato di grazia. Una direzione ricca di pathos e impeccabile dal punto di vista della precisione, con una perfetta coesione tra buca e palco e una stupenda capacità di sostenere i solisti tramite accompagnamenti impeccabili e di portarli a dare il meglio nelle sfumature, tramite un lavoro di concertazione accurato e scrupoloso. Partendo da tutto questo, il cast ha agito come un ingranaggio lubrificatissimo a partire dalla prova eccellente di tutti i comprimari, tra i quali meritano una segnalazione il Barone Douphol duro e aggressivo di Eddie Wade, l’ Annina tenera e protettiva di Magdalena Molendowska e il Dottor Grenvil ricco di umanità e bonomia di Graeme Broadbent. Tra i protagonisti, il baritono greco Tassis Christoyannis ha tratteggiato un Germont padre impeccabile, con una voce solida e timbrata, di una grana un po’ ruvida che si adatta bene al carattere del personaggio, e un’ ottima capacità di colorire il fraseggio e di spaziare dall’ eloquenza altisonante ai toni di affettuosità patetica. Il ventinovenne Michael Fabiano ha impersonato Alfredo con una recitazione perfetta nel realizzare un ragazzo impacciato e timido nelle sue profferte. Il giovane cantante americano ha messo in mostra una bella voce di tenore lirico, in complesso ben controllata anche se alcune note di passaggio suonavano un po’ schiacciate, e un fraseggio vario e molto ben sottolineato nelle sfumature.

Foto ©Richard Hubert Smith

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Ho lasciato per ultima la splendida prestazione della protagonista perché vale la pena di spenderci due parole in più. Man mano che la serata procedeva mi sono convinto che in questo caso siamo di fronte, se non proprio a una rivelazione, almeno a un attraente progetto di primadonna. Venera Gimadieva, che non ha ancora trent’ anni, è originaria di Kazan ed è entrata giovanissima a far parte della compagnia del Bolscioi. Ai suoi primi passi nella carriera internazionale, la Gimadieva ha riportato apprezzamenti molto positivi per le sue esecuzioni di Traviata a Limoges e a Venezia, poco prima del suo debutto a Glyndebourne. La giovane cantante russa sfoggia un timbro di voce attraente e luminoso, con una leggera velatura in certe note centrali che in questo ruolo ne accresce addirittura il fascino. Il talento della fraseggiatrice è davvero notevolissimo e il soprano russo è in grado di controllare perfettamente la dinamica del suo strumento. I pianissimi sono davvero incantevoli, le mezzevoci morbide e timbrate. Ma quello che mi ha impressionato di più nell’ interpretazione di Venera Gimadieva è senz’ altro la personalità interpretativa che la cantante ha messo in mostra nella sua caratterizzazione del ruolo. Una Violetta che non era la solita prostituta di alto rango ma piuttosto una giovane ragazza piena di vita e di speranze che gradatamente vede soccombere i suoi sogni di fronte a un destino immodificabile. Un ritratto affascinante e modernissimo, reso con una recitazione davvero da grande attrice, in grado di sfruttare al meglio le possibilità offerte da una figura piacevole ed elegante e da un talento drammatico di primissimo livello. Il progressivo annichilirsi di Violetta durante il duetto con Germont padre, la passionalità lacerante con cui la Gimadieva ha reso l’  “Amami Alfredo”, l’ intensità struggente del fraseggio nell’ “Addio del passato”, la forza espressiva straordinaria di certi sguardi nella scena del gioco e nel terzo atto erano tra le cose migliori di un’ interpretazione originale e coinvolgente come poche altre da me viste a ascoltate negli ultimi anni. Se proprio devo fare un appunto, Venera Gimadieva dovrebbe solo perfezionare ulteriormente la coloratura del primo atto e le note acute della grande aria, dove i re bemolle e il MIb finale suonavano un po’ sfuocati. Se la giovane cantante russa compirà questo lavoro di rifinitura e saprà gestire bene le scelte di repertorio, potrebbe davvero diventare la Violetta di riferimento della nostra epoca e una delle massime cantanti a livello internazionale. In ogni caso, quanto ho appena detto non sminuice assolutamente il valore della prova maiuscola fornita da Venera Gimadieva in questa produzione che si colloca a buon diritto tra le migliori esecuzioni di Traviata allestite negli ultimi decenni. Uno spettacolo assolutamente esemplare, che andrebbe studiato e meditato a fondo per capire il valore di questa vera e propria lezione interpretativa che ci arriva dall’ inghilterra. Per quanto mi riguarda, dopo i veri e propri orrori e scempi di certe esecuzioni allestite da teatri e festival di gran nome, con cast composti da divi di cartapesta e bacchette che si preoccupano solo di bellurie orchestrali fini a se stesse disinteressandosi completamente di quanto avviene sulla scena, questa Traviata ha rappresentato davvero un soffio di aria fresca. Sì, non tutte le speranze sono perdute, si può ancora fare Verdi!



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