Tre buone ragioni per non rimpiangere gli anni ’80

Creato il 07 dicembre 2013 da Paperoga
I revival dei decenni passati sono una condanna che sconteremo per l’eternità. Non c’è niente da fare, passati 15-20 anni dalla fine di un decennio, si alza sempre un pirla che sente il bisogno di rimpiangere i tempi andati, che quegli anni sì che erano tempi felici”, “altro che sta merda di presente che viviamo”.

E di seguito a quel pirla vanno centinaia, migliaia, milioni di altri pirla. E così nasce dal nulla la nostalgia per come ci si vestiva, per quello che si faceva, per la musica e il cinema di quegli anni, per i gadget dell’epoca, e mille altre minchiate.

Da un po’ di anni a questa parte, con uno zelo degno di miglior causa, sulla cresta dell’onda della nostalgia ci sono i famigerati anni ’80.

Chi porta avanti questa operazione nostalgia sono solitamente freschi quarantenni non cresciuti, o cresciuti male (proprio per colpa degli anni ’80, che vissuti da adolescenti credo abbiano mietuto generazioni di neuroni), che ci baloccano con le meraviglie di quegli anni, solitamente citando una serie di luoghi comuni: la nascita della tecnologia domestica per come la intendiamo oggi, la musica pop, Maradona e Platini, l’esplosione della tv commerciale, il mini-boom economico, l’uscita dai lugubri anni di piombo, la Milano da bere, il Drive-in, ecc. ecc.

Stupisce poi, ma mica tanto, che tra i fedeli adepti di questa operazione rimpianto ci sia anche gente che trentanni ce li ha appena e a volte manco, ovvero gente nata a metà degli anni ’80, che di quegli anni non può che avere ricordi sparuti e più che altro associati ad indimenticabili momenti come imparare a fare cacca nel vasino.

A questa gente che si sente intimamente cresciuta negli anni ’80 pur avendo vissuto coscientemente solo il decennio successivo chiedo con forza: ma perchè? Ma chi ve lo fa fare a sentirvi figli degli anni ’80? Perchè lo considerate un decennio così fico da volervene appropriare facendo a botte con la vostra carta di identità? Cosa c’è di così indimenticabile in quegli anni?

Ve lo dico col cuore, come uno che ha vissuto gli anni ’80 in piena faccia, dai 5 ai 14 anni. Degli anni ’80 c’è da rimpiangere ben poco, forse una cosa sola o forse due, e ve le dirò alla fine. Ma nel frattempo vi dirò 3 buone ragioni per preferire qualunque altro decennio.

1 Motivo: l’incubo nucleare.

A quelli che cianciano sul fatto che gli anni ’80 sono stati anni spensierati, finalmente liberi dalle tensioni  degli anni ’70, anni in cui la gente voleva solo pensare a divertirsi e basta sorseggiando Amaro Ramazzotti e sognando Carol Alt, dico solo quasi tutto quel decennio c’era ancora la Guerra Fredda. Non sto qui a farvi un trattato socio-politico. Vi dico solo che in quegli anni Usa e Urss battagliavano a parole ben peggio che negli anni ’70, che in almeno un’occasione si è sfiorata la guerra nucleare e che tra le Guerre Stellari reaganiane e  la imponderabile crisi dell’Impero sovietico c’era poco di cui stare allegri a quei tempi. Non è un caso che una delle mode che imperarono attorno alla metà degli anni ’80 era quella dei corsi di sopravvivenza. Non è un caso che i rifugi anti-atomici in quegli anni si vendevano come il pane. Non è un caso un film maldestro ma tremendamente efficace come The Day After del 1983 (o il molto migliore Wargames, praticamente coevo).
Per non parlare poi del nucleare civile, del tanto sicuro nucleare civile, che ci regalò Chernobyl, il suo venticello mortale che se ne andò in giro per l’Europa, con noi che non si mangiava più verdure nè si beveva latte, e ci si cagava addosso dalla paura. Che anni spensierati quelli, ve li raccomando. Che poi la gente se ne fottesse e continuasse a bere Amaro Ramazzotti e rimpinzarsi di penne alla vodka, conferma uno degli assiomi mai smentiti sugli anni ’80: che sono stati anni terribilmente stupidi.

2 Motivo: il decennio in cui scomparve il buon gusto nel vestire.

Ora, posso capire che ci siano degli svalvolati che apprezzano come ci si vestiva negli anni ’80. Sono svalvolati, d’altronde. Ma non ammettere che gli anni ’80 sono stati il decennio in cui ci si è peggio vestiti, truccati e pettinati nella storia, vorrebbe dire attentare alla verità dei fatti.

Cari trentenni, voi eravate in fasce mentre in quel decennio esplodeva letteralmente la moda dei vestiti colorati. Non era importante abbinare, l’importante era avere addosso dei colori sgargianti, immediatamente riconoscibili, variopinti, vivaci. L’importante, in quel decennio, era non rendersi opachi, indistinguibili, e dunque l’abito doveva, se non essere sempre eccentrico, avere quella percentuale minima di pugno nell’occhio che lo avrebbe fatto risaltare. Ben presto la semplice tenuta d’ordinanza dei giovani di allora, ovvero un jeans e una maglietta monocolore, diretta emanazione degli austeri anni ’70, doveva essere soppiantata da variazioni sul tema. Le magliette, anzitutto, dovevano essere stupendamente colorate. Anche i jeans, per quanto saldamente in prima linea anche in quegli anni, furono per un quinquennio sciagurato (1985-1990) contrastati da pantaloni di ogni colore, spesso da abbinare con pauroso spregio dell’organo della vista a camicie o magliette di colore dissonante. Persino i giubbotti furono aggrediti dal dilagante morbo del colore: erano anni in cui era profondamente alla moda andare in giro con quel telone di plastica dai mille colori denominato Henry Lloyd, o con il giubbotto indossato dall’omino Michelin, ovvero il Piumino Moncler. E vogliamo parlare dell’abominevole moda degli spallini da football americano con cui andavano comicamente in giro le donne? E dell’orripilante dilagare del “rosa shocking”? E del culto della pelliccia di visone? E questo anche a voler sorvolare della idiotissima moda dei paninari che per un triennio ci fecero credere che fosse normale andar vestiti come hamburger firmati. Gli anni ’90, con il loro tornare a vestire scazzati e il rifiuto nauseato del colore che seguì a quella dilagante follia, furono in confronto boccate d’aria fresca… Per fortuna gli anni ’80 ci hanno regalato un fondo di pacchianeria e cattivo gusto in cui al confronto qualsiasi altro decennio esce vincitore. In questo senso, è stato un decennio utile. Perchè, a paragonarci con quei pagliacci, si vince facile. 3 Motivo. Lo smidollato rock. Ora, so che nel campo musicale, de gustibus non est disputandum. Capisco perfettamente che ci siano molti patiti della musica pop anni ’80. Secondo qualcuno dovrebbero farne un Patrimonio Unesco, ed io stesso riconosco che ci troviamo di fronte a qualcosa di unico e irripetibile, forse perchè assolutamente distinguibile. La musica anni ’80 la riconosci alla seconda nota, non c’è nulla da fare. Quel sound è una sorta di timbro. Parlo ovviamente del pop elettronico, del pop-rock, perchè il rock, parlo di quello vero, si sciolse come neve al sole di quel decennio e non fece mai più ritorno A parte le ovvie eccezioni alla regola, e ce ne furono tante, sopratutto in ambito inglese, il resto del panorama descrive un allegro e divertente pout-pourri di pacchianeria musicale che non può non essere vista come una involuzione pesante di quelle vette di perfezione toccate dal rock anni ’70. Dai, ammettiamolo: la musica anni ’80 ha poco nerbo, poca sostanza, è plastica colorata. Divertente da vedere, da ballare, ma pur sempre di plastica rimane. Il suono della batteria, quando non era campionata, ancora oggi mi irretisce, sembra che usassero bidoni di latta a rimbombare all’interno di un hangar sterminato. I dieci anni precedenti, in cui il rock si era elevato a forma d’arte, vengono gettati nel cesso nel giro di qualche anno. Nascono le moderne boyband. In Italia va anche peggio. Il festival di Sanremo, contenitore supremo della più insopportabile canzonetta italica, vive il suo massimo periodo di fulgore con mezza Italia incollata sugli schermi a sentire roba che ti invecchia dentro al solo ascoltarla, tipo Perdere l’amore, Ti lascerò, Si può dare di più. Senza contare che verso la fine degli anni ’80 dagli studi di Radio Deejay appare una catastrofe che ci porteremo tristemente dietro per altri 3 decenni: Lorenzo Jovanotti. Anni ’80, vi detesto anche solo per questo. Cosa rimane allora di buono di quegli anni ’80? Personalmente, la mia infanzia e prima giovinezza spensierata, ma avrei potuto viverla in qualsiasi altro decennio. Guardando fuori dalla mia Shangrilà fatta di vacanze natalizie piene di giochi, mega raduni di cugini, scorribande in casa dei nonni, di estati interminabili fatte di partite di pallone che duravano otto ore o di esplorazioni in solitario di boschi, darsene, paludi, di eccitanti battute di pesca in barca assieme al mio papà, di domeniche soleggiate di inverno passate a giocare al pallone sotto casa con l’autoradio della macchina al massimo volume per sentire novantesimo minuto, o dei pomeriggi passati a giocare al mio primo Nintendo, al di là delle persone care che mi hanno cresciuto, degli amici dei paesini e delle città che hanno fatto da protagonisti comparse e scenografia di quei formidabili dieci anni, degli anni ’80 rimane vivido il ricordo di due apici toccati: la qualità del tennis che si vedeva negli anni ’80 e la straordinaria varietà e qualità dei cartoni animati che passavano le televisioni. Della prima questione non vi tedierò, esiste Youtube per vedere come giocavano i vari Lendl, Mcenroe, Becker, Edberg, Connors, Cash, Mecir, Agassi, Wilander.
La seconda questione è invece più appetitosa e merita una breve appendice. Ma prima ancora di parlarvi dei cartoni animati anni ’80, ci vuole una piccola premessa. E quella premessa di chiama Peppa Pig.
Stay tuned.

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