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Anche con Tre Cuori, presentato in concorso alla settantunesima edizione della mostra internazionale d’arte cinematografica del Festival di Venezia, Benoit Jacquot non ha ottenuto grandi riconoscimenti, riscuotendo anzi più fischi che applausi. Se nella volontà del regista l’opera avrebbe dovuto essere costruita sull’affascinante commistione del melò e del noir, nei fatti le note vibranti di questi due generi, tanto onorati dalla tradizione francese, non impreziosiscono il tessuto narrativo di Tre Cuori, che se ne esce piuttosto come un dramma borghese non del tutto convincente. Come il titolo suggerisce, la vicenda scivola attorno a un incestuoso ménage a trois che vede coinvolte Sylvie (Charlotte Gainsbourg)e Sophie (Chiara Mastroianni) due sorelle, co-proprietarie di un negozio di antiquariato che hanno ereditato dalla madre (Catherine Deneuve), che come loro vive in una graziosa città di provincia nel sud della Francia.
Il terzo lato del triangolo è Marc Beaulieu (Benoit Poelvoorde) , un uomo che ama le donne –ma che con il Bertrand Morane di Trauffaut ha ben poco da spartire– e conduce un’esistenza triste e solitaria, resa ancora più angosciante da un infarto cui è miracolosamente scampato. I problemi cardiaci lo costringono a giornate tranquille senza grossi sbalzi emotivi. Ma se una sera d’inverno incontrasse per la strada una giovane donna, sola come lui? I due, attratti reciprocamente, passeranno una notte intera parlando il meno possibile di loro stessi, incapaci di mettere in gioco le rispettive personalità. In accordo con una concatenazione di eventi alla Sliding Doors –ma non altrettanto riuscita–, Marc e Sylvie mancheranno di vedersi all’appuntamento che avevano fissato, per reincontrarsi poi, dopo parecchi anni, in veste di cognati.
Se il gioco del fato sulle loro piccole esistenze risulta troppo accentuato, tanto da far cadere la trama in mano alla più bieca causalità, mentre invece una certa casualità logica sarebbe stata benvenuta, alcune ellissi narrative contribuiscono a rendere la storia poco credibile. Se non altro questa volta Benoit Jacquot si concentra su un uomo e non più una donna, di cui studia la fenomenologia d’amore. Marc infatti, soffre di cuore non solo da un punto di vista medico, ma anche emotivo. Abituato a condurre le relazioni con la stessa freddezza e distacco che adopera nel lavoro come esattore del fisco, si adagia di buon grado alla routine e all’anestesia sentimentale che una monotona vita familiare in una piccola città di provincia gli offre. Il malessere, per lui come per le donne del film –non da ultima l’impassibile madre che osserva e comprende ma non scende mai in campo– deriva da una sorta di diseducazione sentimentale. In questo senso come una colonna sonora a tratti inquietante e atmosferica suggerisce, il tema d’amore quale sfortunata vicenda che si abbatte impetuoso, diviene presagio di terribili conseguenze. Ottima la scelta di incastrare nello stesso fotogramma i volti dei due interlocutori, imbrigliandone i sentimenti e indagando da vicino gli impercettibili movimenti del volto e della loro sfera intima, mentre la saltuaria presenza della voce narrante risulta un po’ slegata e approssimativa.
Erica Belluzzi
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