NON È NECESSARIO ESSERE ASSOLUTI PER ESSERE UNICI
A. ha una sola figlia. Una bimba bellissima dagli occhi ridenti che, sfortunatamente, non ho mai visto dal vivo perché abitiamo lontane.
Ci siamo conosciute grazie al mio blog, ci veniamo a trovare affacciandoci a facebook.
“È una scelta precisa – mi scrive – quella di avere un solo figlio: voglio dedicare alla mia piccola tutto quello che posso, rispettare la sua unicità senza compromessi, seguire la sua crescita senza dividermi con altri bisogni, fasi diverse di vita e di evoluzione.”
Guardo i miei due “grandi” ridotti al parchetto dei piccoli, una moto di legno su una molla, due altalene di quelle col seggiolino intero: Isabelle non ha problemi sugli scivoli dei grandi, i problemi li ho io, che me la perdo, devo inseguirla su ponticelli troppo alti, prevedere in quale buco s’infilerà, evitarle la discesa libera dalla pertica.
Ci si arrabatta, è vero.
Quando lei fa il sonnellino gli altri devono abbassare la voce, aspettare il suo risveglio per uscire tutti insieme. Dividere i giochi, vedersi smontare con due prese rapide e maldestre, in un solo minuto, architetture di lego erette con zelo in intere mezzore.
Hanno una madre a spicchi, compromessi da accettare, convivenze da apprendere.
E, pure, ognuno non è solo uno, ma il figlio.
Patrick è nato per primo: era l’unico, assoluto. Diresti: non ti ha divisa con nessuno. Mi divideva, invece: ha avuto la prima madre che sono stata, e mi divideva con la mia inesperienza, i miei timori, le incertezze, la parte di me che non cedeva. Mi divideva col tempo che ancora serviva per diventare mamma.
Sarah è stata la seconda: era la prima femminuccia. È nata, e ha avuto le mie notti, ha avuto i pomeriggi di sonnellini insieme, ha avuto diciannove mesi di latte materno. Le passeggiate da sole. I giochi, gli acquisti vibranti di piccola magia. I compleanni. Le scoperte. Una madre che impara. E un fratello.
Isabelle arriva per ultima. Non ha la novità del primogenito. Non ha la meraviglia della prima femminuccia. Ha il beneficio della piccola di casa. Ha avuto notti, come e più di tutti. Riposi con me, giochi al mattino, lei e io, quando gli altri sono a scuola. Il mio latte, la mia pelle, le mie parole, la mia dolce, incomprensibile dimenticanza: quella grazie alla quale si scordano mille cose, e così ogni dettaglio che arriva, è del tutto nuovo. Anche se, nel frattempo, sua madre è madre sempre di più. Che si divide, ma impara a diventare ricca dalle divisioni.
Ognuno è il figlio, perché non è necessario essere assoluti per essere unici.
Patrick è le nostre risate fino alle lacrime leggendo libri che storpio di proposito. Inventando nomi e giochi di parole. È il grande che mi porta avanti, a scoprire l’uomo che sarà. Lui e i suoi modi particolari, lui e la storia che siamo, le sue fossette leggere, come allunga il viso, verso il basso, quando è emozionato. Il modo scomposto in cui balla, come cammina sicuro in montagna. Lui e i suoi racconti fitti su pile di fogli. Il suo fare garbato nell’accostarsi alle persone, le sue piccole manie. Patrick è intelligenza e dolcezza.
Sarah è i suoi vezzi tutti rosa, come i vestiti che sceglie, come le facce colorate delle principesse che disegna. È la sua fantasia leggera di tulle, gli oggetti che reinventa, la paura dei ragni e la pigrizia a camminare. Il bisogno di me, ancora piccina, parole nuove e una testa cocciuta, mentre si allontana. Sarah è fantasia e allegria.
Isabelle è il cucciolo che ancora dipende da me. Pelle sulla mia pelle, labbra sul mio seno. Pannolini, cucchiai da impugnare a fatica, pianti improvvisi che hanno la mamma come unica soluzione. Ma è anche il clown, otto occhi ridenti che si versano su lei, canzoni che impariamo insieme, conquiste veloci dietro ai fratelli. E un carattere tutto suo. Isabelle è scoperta e incanto.
E non patisce di essere l’ultima. Non soffre affatto di non essere l’unica.
La guardi scendere dal divano, correre verso la camera dei fratelli. La fermi: “No, Isa, non puoi, Patrick e Sarah stanno già dormendo!”
Arresta la corsa, ritorna, si pianta in salotto. E scoppia in un pianto dirotto.
C’è un privilegio che è unico, per ognuno dei miei figli. Anche quello di avere due fratelli, di disperarsi perché già dormono. Di là, nell’altra stanza.