Abramo Lincoln, con regia di Spielberg; Django unchained di Sorrentino e il vecchio e scomodo Malcolm X di Spike Lee. I primi due nelle sale, il terzo riproposto contemporaneamente da Cubovision.
Un Lincoln paterno, vicino ai cittadini, pragmatico, smaliziato, carico di humour ebraico, capace di spietato realismo politico al servizio di un ideale di uguaglianza. Ne viene fuori però la giustificazione di un machiavellismo procedurale e di un leaderismo duro per quel che resta dei democratici europei. Abramo Lincoln nell’avvincente racconto di Spielberg vuol farci digerire di tutto, persino la corruzione pur di far abolire la schiavitù. C’era anche l’emergenza della guerra civile in corso, con la tentazione di far la pace senza abolire l’assurdità che nega i diritti più elementari in nome dell’economia. Un discorso ancora spaventosamente attuale.
Il problema è più il sistema economico che la schiavitù, di cui il sistema stesso ha bisogno per vincere la competizione, far profitti e abbassare di molto il potere di contrattazione dei sindacati.
Ma Spielberg men che meno sfiora simile problema: il cinema crea miti. Obama stesso ha bisogno che non si dimentichi la tragedia dei neri.
Django unchained mostra lo schiavismo guardato negli occhi e nell’anima, con la gioia della precisione, della scoperta, esaltando la crudeltà, le folli giustificazioni teoriche dello schiavista bianco (un Leonardo Di Caprio brillantissimo). Django scopre il razzismo nella sua truce realtà, passa dallo stato di impotenza al furore della ribellione. Un viaggio interiore, che fa di lui anche un finto negriero pur di arrivare a liberare la moglie schiavizzata. Il meccanismo del ritorno del represso esplode alla massima potenza. La gioia della gioia della violenza in un mondo senza giustizia, senza legge, può sconvolgere. La legalità non esiste, è del tutto impossibile. La legge è totalmente assente e quando appare uno sceriffo è il più corrotto.
La legge è un disvalore anche in Malcolm X. Questo è il film più aspro, epico. Lo stesso protagonista evolve da posizioni razziste e separatiste verso una linea sempre più democratica, spinto sia dalle necessità esterne che dalle esperienze religiose legate all’Islam. Naturalmente viene assassinato. Leader scomodissimo, vissuto in tempi di violenza legale e feroce, capace di raccomandare l’uso delle armi per la legittima difesa. E poi di convincersi all’ultimo di rinunciare anche a questa forma di protezione.
L’impegno civile e politico di Malcolm X nasce in prigione. L’eroe si converte, diventa un cavaliere senza macchia, una furia di predicatore, un trascinatore. Spike Lee mostra la forza dell’esempio che non muore, in un film che vale un poema.