Oggi scrivo di tre libri che raccontano tre viaggi molto diversi in Paesi decisamente poco visitati da viaggiatori, e tantomeno turisti.
Congo – Fiume di sangue - di Tim Butcher
[Corbaccio, 2009, 399 pagine Isbn 9788879729499]
In moto, a piedi, su una barca o su una canoa, massacarato dalle zanzare e dalle malattie. Un viaggio di 4,500 chilometri verso il mare fra pericoli e difficoltà. Tim Butcher attraversa ferrovie sepolte dal fango e dalla foresta, campi minati, grandi città completamente isolate dal resto del mondo in mezzo a giungle e acquitrini, dove i palazzi cadono a pezzi sbriciolati dall’umidità e dall’oblio. Ci racconta di bande sanguinarie, massacri, cannibali e di mercanti che trascinano per decine di giorni quintali di povera mercanzia su vecchie bici attraverso giungle e savane. Descrive terre bagnate da un fiume tinto di rosso dai cadaveri e dalla ruggine delle navi in rovina che narrano di un passato remoto e impossibile. Non è il mondo feroce e distopico di ‘La strada’ di Cormac McCarthy, ma il Congo di oggi. Tim Butcher, scrittore e giornalista del quotidiano inglese Daily Telegraph, nel 2004 si è imbarcato nel viaggio compiuto nel 1874 dal suo antico collega Henry Stanley, dal lago Tanganika alla foce del fiume Congo. Butcher incontra missionari e burocrati, volontari dalla fiducia incrollabile, vecchi funzionari che ancora vivono in un mondo del passato, capistazione che aspettano un treno che non passerà mai più. E poi racconta il suo lungo, faticoso viaggio, muovendosi in un Paese incredibilmente simile a quello attraversato nel 1800 da Stanley, mantendendosi in equilibro fra storia e presente per cercare di descrivere l’anima di un paese dilaniato, massacrato dagli europei per secoli. Da quando i primi viaggiatori risalirono il fiume Congo, per arrivare allo schiavismo e allo spietato dominio belga, fino all’indipendenza, alle continue guerre e all’incapacità di prendere le redini della propria storia oggi, fra corruzione e violenza. Un libro bello e sconcertante.
Paraguay- Sulla tomba del maiale gonfiabile - di John Gimlette
[Rizzoli (fuori catalogo), 2011. 411 pagine Isbn 9788817006569]
Lo so, il Paraguay non è il classico paese ‘remoto’ o pericoloso. Ma per qualche motivo è un po’ un ‘buco nero’. Non ne leggo mai notizie, né sui giornali, né su internet. Le uniche cose che sembrano far notizia sono legate al calcio (ricordate Chilavert?) E come se non bastasse, il Paraguay sembra fuori dai percorsi di molti viaggiatori. Ho conosciuto più persone che siano state in Mongolia e in Siberia che persone che siano state in Paraguay (zero). John Gimlette, autore poco conosciuto in Italia, ha viaggiato in Paraguay ben tre volte e racconta un Paese folle e tragico, pittoresco ed ermetico, che mette in scena tutti gli archetipi della storia dell’America latina. Gimlette scrive con ironia e leggerezza, ma senza dimenticare la storia, con lunghe digressioni, e la precisione nelle descrizioni. Si muove nel solco di Mark Twain, o di Bill Bryson (fra i miei scrittori preferiti) e il libro, nonostante sia molto lungo, scivola via facilmente in un’atmosfera surreale, quasi onirica. Purtroppo la traduzione non gli rende particolarmente giustizia (grazie a Lorenzo Cairoli che me lo fece scoprire).Afghanistan – Afghanistan picture show, ovvero come ho salvato il mondo - di William T. Vollmann
[Alet, 2005, 344 pagine Isbn 9788875200114]
Ammetto, apprezzo Vollmann, ma non sono sicuro di capirlo sempre. E non sono sicuro di aver capito questo libro, anche se non credo ci sia molto da capire dietro al significato più immediato. Nel 1982, durante l’invasione sovietica, lo scrittore – con una certa ingenuità – va spericolatamente in Afghanistan e per un periodo si unisce anche ai mujaheddin. Vorrebbe aiutare, fare qualcosa, ma risulta sempre un peso, sempre fuori posto, e incapace di comunicare veramente. Credo il senso sia tutto qui. Ma il libro mantiene quel che promette (il titolo è tratto da una proiezione di diapositive che l’autore fece al rientro a casa): una serie di immagini, di situazioni descritte in maniera ingenua, ma tagliente (paradosso solo apparente). E’un’avventura che scivola via, piena di immagini vivide, ma forse con poco spessore. E credo che Vollman l’abbia vissuta così. E’ molto differente da qualsiasi libro di viaggio che abbia letto, credo sia un complimento, per uno scrittore.