Tre mesi per salvare l’Euro? Un Dossier per capire che fine faremo

Creato il 12 giugno 2012 da Candidonews @Candidonews

La speculazione non risparmia la Spagna e l’Italia. Tre mesi per salvare l’Euro, ‘grida’ la Presidente del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde:

«Rapidamente, bisogna intervenire rapidamente». Lo ha ripetuto tre volte Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale, ammettendo che mancano meno di tre mesi per salvare l’euro. Il direttore del Fmi, in una intervista a Christine Amanpour, celebre giornalista della Cnn, ha risposto con queste parole a George Soros, il finanziere americano di origine ungherese per il quale «le autorità europee hanno un margine di tre mesi per correggere i propri errori e invertire l’attuale inerzia»

La situazione generale è pessima e per il futuro si fanno ipotesi raggelanti. Potrebbero bloccare a breve il ritiro di contanti dai bancomat e dagli sportelli bancari? Uno scenario apocalittico quello che avanza la Reuters. Per la Grecia, al momento. Non sono escluse Spagna ed Italia, in futuro:

Severi limiti ai prelievi dai Bancomat, rigorosi controlli valutari alle frontiere, radicali limitazioni alle libertà finanziarie. La storia torna indietro: il peggior incubo per gli europei si materializza, la libera circolazione dei capitali diventa un ricordo. Il piano esiste, studiato in tutti i dettagli ed è pronto a scattare. Lo hanno discusso segretamente i dirigenti dei ministeri del Tesoro e delle banche centrali, probabilmente sotto l’avallo della Bce, analizzandone tutti i particolari e le implicazioni. L’ha rivelato ieri l’attendibile agenzia Reuters, con la precisazione che questo scenario worst-case si applicherebbe “almeno alla Grecia” (ovvero a tutte le transazioni da e per quel territorio) se Atene decidesse di lasciare l’euro (o se a ciò venisse spinta da irrecuperabili situazioni di mercato), lasciando però intendere che progetti segreti di emergenza di questo tipo esistono ormai per tutti i Paesi a rischio, e forse non solo per questi. Chi si sgancerà dalla moneta, Spagna o Italia o chiunque altro, incorrerà nello stesso regime.

Già, Italia e Spagna, sempre loro. I due paesi viaggiano assieme lungo il confine tra salvezza e baratro. Chi corre piu rischi tra Madrid e Roma? Su Repubblica si analizza la situazione:

Chi sta peggio, Italia o Spagna? Dal punto di vista economico, la Spagna; politicamente, invece, l’Italia. Ma la risposta potrebbe anche essere rovesciata.Dal momento che le difficoltà politiche spesso danneggiano l’economia e quelle economiche avvelenano la politica. La situazione politica spagnola si può deteriorare e il vantaggio di cui gode in questo momento l’Italia rispetto alla Spagna può svanire in breve tempo. In ogni caso quello che importa è che sia Roma che Madrid se la passano male e che la situazione è molto instabile. In questi momenti l’emergenza è la necessità di salvare le banche spagnole, ma fino a pochi mesi fa c’era la possibilità concreta che l’Italia perdesse la possibilità di finanziarsi sui mercati internazionali, una minaccia che prima aveva allarmato la Spagna. E ancora prima c’era stata la crisi politica in Italia, che aveva paralizzato il Paese e portato alla sostituzione di Silvio Berlusconi con Mario Monti. Le emergenze rimbalzano da un Paese all’altro, provocando sussulti che trasformano stabilità e prevedibilità in un ricordo remoto.
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Come ha sottolineato Uri Dadush, economista del Carnegie Endowment, le radici della crisi europea non nascono dalla situazione dei conti pubblici o dallo stato del settore finanziario, bensì dalla perdita di competitività subita da Paesi come Spagna e Italia, soprattutto in rapporto alla Germania. Dadush ha calcolato che tra il 1997 e il 2007 il tasso di cambio reale in Spagna è cresciuto dell’11 per cento, e del 9 per cento in Italia (significa che le esportazioni di questi due Paesi sono diventate più costose). Nello stesso periodo, in Germania, è calato del 14 per cento (cioè le esportazioni tedesche sono diventate meno costose del 14 per cento). Tutto questo inevitabilmente ha prodotto un calo dell’export di Spagna e Italia e un incremento dell’export tedesco: nel decennio prima della crisi, le esportazioni spagnole sono diminuite (in rapporto al totale dell’economia) del 3,4 per cento e in Italia dell’1 per cento; in Germania invece hanno registrato un aumento spettacolare, del 20 per cento. Nonostante tutto questo l’economia spagnola è cresciuta a un ritmo doppio rispetto a quella italiana: un’espansione economica basata, come sappiamo, sul settore edilizio, il cui peso in Spagna è passato dal 4 al 12 per cento dell’economia fra il 1995 e il 2007. In Italia nello stesso periodo è passato dal 4 al 6 per cento e questo spiega perché le banche spagnole sono più deboli di quelle italiane.
Spagna e Italia devono cercare nuove fonti di crescita economica, e questa crescita non potrà che venire da un settore privato meglio in grado di competere sui mercati mondiali

E la Germania? Alcuni vociferano di una sua possibile uscita dall’Euro per liberarsi della zavorra di una moneta debole, nulla di piu sbagliato. Senza l’Euro la moneta tedesca si rivaluterebbe troppo e ciò impedirebbe le esportazioni facendo piombare l’economia della Germania in una crisi senza ritorno:

Die Welt propone l’ipotesi che il primo luglio del 2012 la Germania possa decidere di abbandonare l’unione monetaria. In questo momento Stato, imprese e cittadini tedeschi hanno crediti in euro per almeno 200 miliardi di euro, secondo i calcoli di un centro studi di politica europea. Da quando il flusso dei capitali ha spostato grandi somme dal Sud Europa verso la Germania, la Bundesbank ha ammassato un’enorme massa di crediti delle altre banche centrali. In questo momento la Buba avrebbe secondo Die Wlet 699 miliardi di crediti Target, una somma pari al doppio del Prodotto interno lordo tedesco. In questo momento praticamente l’export tedesco viene pagato con crediti alla Germania. Se ci fosse un’uscita della Germania dall’euro, gran parte di questa cifra andrebbe polverizzata, perché i crediti Target che sono fatti all’interno del sistema delle banche centrali europee non potrebbero essere rimborsati. Ma anche nel caso in cui quest’operazione fosse possibile, bisognerebbe pensare alla pesante svalutazione dell’euro in caso di addio tedesco. Ecco perché i crediti che ha la Germania in questo momento perderebbero moltissimo valore, con conseguente grave danno per l’economia e i conti pubblici tedeschi.
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La conseguenza più probabile sarebbe dunque un aggravamento della situazione debitoria. Probabilmente la Germania si ritroverebbe in una situazione italiana, con un debito pubblico schizzato al 110 o al 120 per cento, valore che alla lunga diventa insostenibile, come mostra la storia del nostro paese, a meno di avere un’enorme credito con l’estero come ha il Giappone. La forza dell’export tedesco però andrebbe perduta con la nuova moneta, perché vista la situazione attuale, è assai probabile che il marco si apprezzerebbe notevolmente nei confronti dell’euro. Una moneta pesante renderebbe più costose le merci tedesche, così che l’attuale primato mondiale della Germania nell’export, raggiunto anche grazie alla moneta unica, andrebbe sicuramente perduto. Meno export significa meno crescita, meno profitti, salari più bassi, e anche meno entrate per lo Stato, la cui situazione debitoria si farebbe molto preoccupante. Il governo federale rischierebbe di perdere anche i crediti che in questo momento ha nei confronti dei paesi in eurocrisi, concessi con gli aiuti dei mesi scorsi. 330 miliardi che sembrano però noccioline per le perdite che si abbatterebbero su economia reale e finanziaria.

Quindi ‘Schnell, Frau Merkel’, Angela ‘datti una mossa’! Cosi titola oggi un articolo de Il Sole 24 Ore che propone una propria ricetta per uscire dalla crisi speculativa:

Si può sostenere, con un minimo di ragionevolezza, che l’Europa esiste se si consente ai mercati di attaccare e colpire impunemente un Paese dietro l’altro? La risposta è no
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Signora Merkel, così non può andare avanti. Non farà molta strada se continuerà ad essere indifferente alla rabbia dei greci, distante dall’orgoglio ferito degli spagnoli, dalle paure italiane e dalle angosce francesi. Tirare fuori 100 miliardi europei (di cittadini europei, una buona parte italiani) per difendere le banche spagnole e ritrovarsi con lo spread BTp-Bund a 473 punti (rendimento al 6,03%) e quello con i Bonos spagnoli oltre quota 520 (rendimento al 6,51%) è solo l’ultima spia di un allarme rosso che lei si ostina a volere ignorare. Non esistono vie alternative. Lo abbiamo già detto e scritto ripetutamente. Bisogna dare un messaggio forte ai mercati: l’Europa esiste, non salta, punto
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Il tempo delle parole è finito, con dieci anni di ritardo, il disegno di integrazione politica va portato a compimento attraverso scelte concrete, immediatamente operative. Almeno tre.

1 – Garanzia unica per i depositi bancari europei. A chi solleva problemi morali, non del tutto infondati, sulla sua introduzione, va spiegato che, in assenza di questo strumento, rischia di pagare di più anche chi si è comportato bene.

2 – Accesso diretto al Fondo salva-Stati (Efsf) da parte degli istituti di credito. Potrà sembrare un dettaglio ma non lo è: le turbolenze di ieri sui mercati sono figlie proprio della convinzione che gli aiuti arriveranno da un secondo fondo di stabilità, Esm, non dall’Efsf, e questo incide sulla qualità e il tasso di rischiosità dei titoli di Stato spagnoli.

3 – Unificazione dei debiti pubblici europei distinguendo (Paese per Paese) il carico degli interessi ma neutralizzando così l’azione della speculazione sui tassi dei titoli sovrani dei Paesi del Sud Europa (e non solo) che si è rivelata molto onerosa.


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