Viveva tutto da lì, palazzina numero trentotto, otto piani, ventiquattro appartamenti, dieci famiglie.
Puntava diritto verso chissà qual dove, eppure andava, facendolo quasi in silenzio, da fermo.
Scioglieva il cuore così come un padrone slaccia il proprio cane, staccandogli il guinzaglio a strozzo mentre questi con forza tirava, ad annusare altrove, lasciandolo andare, senza seguirlo.
<<Che vada! Tanto è inutile stargli appresso, si finisce fiacchi in men che non si dica!>>, questo si diceva, << che giuochi pure, quand’anche si morda la coda, son fatti suoi, io glie l’ho dico sempre, ma lui non m’ascolta!>>. Mangiava se stesso ogni notte, da quel balcone, scusandosi puntualmente coi vicini per il baccano. << sai urlare bene tu!? E allora urla! Non dirmi che non sai più come si fa, se vuoi t’insegno, avanti, prova!>>. E questi urlava, ogni volta e alla stessa ora, sempre dal suo piccolo privé, un posto riservato a chi non ha posto, come una donne gravida, come gli anziani, un disabile, o meglio ancora, un triste subordinato a tempo con data di scadenza al tappo, un emarginato, razzista con sé stesso, pronto a trovarsi sullo scaffale, pronto a comprarsi, finiva in frigo, poi sul tavolo, apparecchiato per esser mangiato di nuovo, ogni notte, dopo il lavoro. Nutriva così le sue speranze, mangiandosi, e lasciandolo fare alla parte più cattiva di sé, quella che il lavoro sporco sa farlo, ed anche molto bene. Una miscela di magnesio e potassio, il mondo chiama ed egli risponde sfinito ogni notte. Otto ore, sei giorni, un riposo a settimana, ferie da concordare, vacanze, come se fosse facile avere un posto, scegliere una meta, quando non c’è l’hai e a stento riconosci te stesso allo specchio. Rade la barba, poi il balsamo gel, brucia tutto, il suo viso è cotto, vissuto, forse anche troppo.
Conguaglio dell’acqua, conguaglio del gas, luce, internet, e buste che s’ammucchiano sul tavolo.<< pagherò domani, pagherò non appena avrò i soldi, senza debiti non pago, quanto devo!?>>. La vita non ha un prezzo, la vita ha un costo, la vita è un bene senza un valore determinabile <<la Corte la condanna a risarcire il danno subito dalla famiglia per la perdita del proprio caro>>, ma determinato a volte, come un contratto a tempo. La vita… ad avercela, a sentirla propria, mentre affitta un appartamento, fa confusione, l’avrebbe comprato,<< non versiamo contributi qui>> come la macchina, << mi spiace non è in grado di fornirci le garanzie richieste per avere questa somma a mutuo>> come la vita, come la casa, come il futuro, avrebbe comprato tutto, come l’anima, il benessere, e poi ancora l’anima, di nuovo, come il ventisette d’ogni mese, come sé stesso, bollette sul tavolo, avvisi di pagamento a precederle, avvisi di pagamento a succederle,<< s’affidi a noi, siamo una tra le migliori assicurazioni sulla piazza, stipuli con noi la sua polizza, così se dovesse succederle qualcosa i suoi figli sarebbero quantomeno economicamente coperti>>. Viveva tutto da li, ogni singolo istante, giorno dopo giorno, non senso dopo non senso, dall’ottavo piano di via Farini, poi un bel giorno… << quanto avrebbero se mi dovesse succedere qualcosa!?>>… è finita!
Dicono che gli sono entrati i ladri in casa.
Non credeteci!
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