Le vie cittadine. Le campagne attorno a Varese. Le strade piene di traffico che all’improvviso si fanno quiete e appaiono le ville. I giardini verdi sotto il cielo che si fa sempre più bianco. I cancelli in ferro battuto dal tempo, le piante secolari dimenticate da tutti. La Tre Valli è un’antica signora. Una corsa che chiude il Trittico nel suo salotto, tra i negozi luccicanti sotto i portici e gli androni dei suoi palazzi antichi, quelli che ti fanno subito venire in mente certi segreti sussurrati mentre fuori piove. Un bacio rubato al volo e forse qualcosa di più.
BUSTO ARSIZIO
ore 10.30
Non c’è niente da fare. Senza offesa, io Busto l’ho sempre associato alla più famosa parodia del Signore degli Anelli. Godo e gli altri suoi amici. Lievemente, forse un po’ tanto, volgare ma assolutamente da spanciarsi dalle risate. D’altronde io e mio fratello spaziamo da capolavori cinefili a commedie di quarta, anche quinta o sesta fascia. Le cose stanno così, forse non è proprio la partenza più romantica a cui abbia assistito. Ma il bello, a suo modo, c’è dovunque. E a me piace anche questo clima da metà mattina in periferia. Le macchine di chi deve ancora andare in ufficio – ma non si entra alle nove? – e le biciclette traballanti dei pensionati con in tasca la Gazzetta che si dirigono verso i telai in fila sui tetti delle ammiraglie. Si ritrovano nei soliti crocchi, si dicono tante cose che non si riesce ad afferrare. Ma di sicuro la migliore bicicletta è la loro. Non quella che hanno adoperato per arrivare fino a lì. L’altra, quella custodita gelosamente in cantina, da usare per il giro buono, come il vestito della domenica. C’è ressa davanti al pullman Astana. Vincenzo Nibali e Fabio Aru corrono insieme, oggi. Colpo grosso per i cacciatori di autografi. C’è il sole, fa caldo. E’ un giorno tra settembre e ottobre. Tra l’estate e l’autunno. Un nonno tiene per mano il nipotino, gli spiega qualcosa, gli indica i ragazzi della Rus Velo che salgono a firmare. A piedi. Sono magrissimi e biondissimi sotto quel sole semibianco. La stagione è quasi finita. Qualcuno dice che in Italia c’è una concezione strana: non si corre per settimane e poi si fa tutto di botto. Sono stanchi. Tutti. Restano le cartucce di una stagione senza respiro, le ultime energie da tirare fuori come un jolly.
Stormi di bambini esaltati corrono attorno ai ciclisti, specialmente a Nibali. Una ragazzina gli si avvicina durante l’incolonnamento, tiene il blocchetto in mano e guarda il pennarello che scorre sulla carta. La felicità è una cosa strana. Sarebbe facile dire che si nasconde nelle piccole cose. Ma chi le trova più le piccole cose?
VARESE
Piazza della Libertà.
Ore 14,30
Questo posto me lo ricordavo sotto la pioggia. Adesso c’è un’aria fredda da improvviso autunno ma niente può dissuadermi dal prendere un cono in quella gelateria dove mettono il gianduia fuso nella parigina. Si sente lo speaker in lontananza, un signore mi dice che il primo giro è già passato. Ne mancano otto. I circuiti sono belli per il modo in cui si raduna la gente, piano piano, chiamata dagli amici degli amici. Un po’ come quella canzoncina degli elefanti. Alla fine la monotonia dei passaggi diventa divertente per osmosi. In quei venti minuti passano tutte le chiacchiere che si sarebbero potuti fare al bar. Solo che ci son più posti. Tutti in piedi, questo sì. Ma va bene lo stesso. Va bene così.
C’è l’Astana davanti dice uno durante un passaggio. Telefona ad un amico e gli parla per dieci minuti. Per dirgli che c’è l’Astana davanti. Ripete il suo pronostico tra la voce della gente. Nibali.
Appoggiato ad una transenna c’è un signore con due bandiere in mano. Gialle con il leone nero. Le Fiandre. Il Fiandre. Simbolo universale di una passione profonda e divoratrice per questo sport. Le sventola nel cielo bianco di Varese ed è strano vederle lì. Non è il loro posto. Non c’è il pavè.
Oppure sì.
Oppure quelle bandiere valgono ovunque il ciclismo si trovi. Ovunque il ciclismo passi.
VARESE.
via Sacco.
Ore 16,15
Se c’è una cosa che mi piace davvero sono i rettilinei d’arrivo. I metri subito dopo la linea bianca. Raccontano storie a manciate. Il novanta per cento sfugge in un secondo. Ma qualcosa, se capiti nell’angolino giusto, raccogli sempre. Basta mezza parola, uno sguardo. I chilometri si raccontano anche in silenzio.
Troppi fotografi laggiù. La gente è ammassata alle transenne. La strada dietro è libera. Vuota. Come tutto il vuoto che ti torna dentro quando prendi il primo respiro dopo l’arrivo. Vuoto.
C’è Nibali che attacca. E tutti sono contenti. Tutti perché non sia mai che vinca uno sconosciuto. Non è che gli sconosciuti non piacciono, è che semplicemente non si conoscono. Non si possono commentare, non si possono elogiare. Perché il prestigio è prestigio. A queste cose ci mangiamo sopra accantonando tutto il resto.
Perché?
Il punto è che vinca un personaggio.
Invece, secondo me, il punto è solamente che non sappiamo più far amare questo sport alla gente. Abbiamo bisogno di vincitori perché non sappiamo più parlare degli sconfitti. Di quelli che possono diventare famosi anche se primi non lo sono arrivati mai.
Il punto è questo: la passione è morta. Quindi è morto tutto. Forse è stata la quotidianità degli ordini d’arrivo ad ucciderla. Le persone diventano nomi. I nomi diventano numeri. E l’uno è sempre il preferito.
Nibali scatta. Thibaut cerca di raggiungerlo. Parla francese ma ha un tatuaggio con una frase scritta in italiano. Vuole bene a questa terra ed è raro per un ragazzo d’oltralpe. Perché non lui?
Perché Nibali ha quindici secondi e in pochi chilometri non glieli prende nessuno. Non ora.
C’è una massa di fotografi laggiù, l’arrivo non so neanche bene com’è. Vincenzo arriva, lo deviano subito. Nessuno lo vedrà più fino al podio. Arrivano gli altri. Bravi. Bravi tutti. Bravo specialmente Sergey Firsanov che è arrivato secondo dietro il campione italiano e davanti a Nizzolo che sicuramente meriterebbe più di quello che la poca fortuna gli concede.
Per Firsanov quel podio conta quasi come una vittoria. Non gliel’ho chiesto ma ne sono quasi sicura.
VARESE
Piazza Podestà.
Ore 19.30
A tornare a casa ci metterò più di un’ora forse. C’è traffico, tanto per cambiare. Varese è tornata com’era. Ho fatto tardi, è vero. Mi sono persa in un piccolo negozio di dischi affollato dove i Ministri suonavano qualche brano del loro nuovo cd. L’ultima data del loro tour negli store. Proprio oggi.
Il destino è una cosa seria.
Le loro canzoni le ascolto mentre scrivo flussi di cose.
Dovevo fermarmi.
C’è già la notte fuori dai finestrini, il buio che si mangia i guardrail assieme alla strada, le luci delle finestre di una fabbrica vuota. Resterà così fino all’alba. Io ho nella testa le voci di Divi e Fede che cantano Cultura Generale davanti allo stesso microfono.
“Poeti senza voce ma con uno splendido altare.”
E’ che non avevo mai sentito una cosa così bella. Le ultime parole. Cantate, sussurrate. La voce cruda, nuda, arriva fino in fondo.
“E prometti che non ti allontanerai”
La notte scorre, rinfilo il cd nel lettore.
Lo prometto.