Colgo l'occasione, nel recensire Baricco, di consigliare, per chi non l'avesse già letta, la recensione sul precedente libro del medesimo autore ad opera di Gerardo Perrotta.
Lo consiglio perché i due libri di cui parliamo sono legati, non solo dalla vicinanza di uscita, ma anche concettualmente da una nota dello stesso Baricco che all'inizio di questo nuovo romanzo proclama che in Mr Gwyn si era inventato un libro inesistente intitolato appunto Tre volte all'alba. Come spesso accade per ispirare un artista basta poco, una sensazione, una vicenda, un nome.
Nel Caso di Baricco è bastato il titolo di un libro immaginario per stimolarlo a scrivere il medesimo. Trovata interessante o trovata pubblicitaria? Inizio a leggere le 94 pagine spesso riempite solo a metà perché ricche di discorsi diretti e finisco dopo un'ora e un quarto. Qualcosa non mi torna, ma prima di spiegarvi cos'è vi parlo della trama perché a mio parere è l'aspetto più interessante. Come si può intuire dal titolo, si parla di tre storie che avvengono durante le ore notturne e che si concludono all'alba. Protagoniste sono tre coppie legate da giochi del destino o da eventi che girano intorno ad un non-luogo travestito da hotel: un uomo e una donna (in uno strano gioco di seduzione che si rivelerà altro), un uomo e una ragazza (alle prese con un fidanzato geloso e con una fuga a fin di bene), una donna e un bambino (mescolati da un istinto materno sopito che trova sbocco tutto in una sola notte).
Sulla carta è tutto molto forte e molto promettente. Sulla carta. Non me ne vogliano i fan sfegatati di Baricco, perché non mi sono avvicinato a queste storie con il fare baldanzoso del bastian contrario che vuole andare contro il grande scrittore solo per farlo sfigurare per un piacere sadico, per di più inutile, bensì come un estimatore dei suoi lavori precedenti. In sostanza, da Mr Gwyn mi porto dietro un qualcosa d'irrisolto che ho potuto comprendere soltanto con la lettura di questo nuovo romanzo.
Tornando a quello che hanno lasciato queste 94 pagine in 75 minuti direi che la prima cosa che mi viene da dire è, sicuramente, tre storie mediamente carine. Detto questo il mio MA bello grosso arriva a livello emozionale. Parlo di nuovo ai fan veri per chiedere di ricordare i brividi provati fra le pagine di Oceano mare o la passione che colpisce in Castelli di rabbia. Chiedo questo per metterlo a confronto con la piattezza emotiva che trasuda da questo libro.
Nel suo articolo, Gerardo Perrotta paragona la scrittura di Baricco a una luce che, a differenza di quella che hegelianamente rischiara la notte in cui tutte le vacche sono nere, semplicemente acceca, creando un mondo senza ombre o chiaroscuri, in cui tutto ciò che consentirebbe la distinzione è semplicemente eliminato. Come ci insegna il Tao cinese, non c'è luce senza ombra e, quindi, questa luce artificiale che Baricco spara sulle sue storie non lascia spazio a quel sano conflitto che è alla base di tutta la letteratura.
In effetti, se dovessi dare una definizione a quello che ho letto avreste un déjà vu delle ultime righe che ho riportato qui sopra. Nonostante si legga l'intenzione di generare dei conflitti letterari che portino a risoluzioni, Baricco non riesce a farli arrivare al lettore e si perdono fra righe frettolose e stile minimalista. Se dovessi essere completamente sincero direi che, ultimamente, alcuni fra i grandi nomi che ho scelto per intrattenermi nella lettura mi hanno deluso, perché fermi nella loro bolla di rendita culturale, che manda avanti le vendite solo per il nome in alto alla copertina, e non per un vero merito.
E se dovessi concludere con un po' di cattiveria (con un'ombra direi, per non gettare troppa luce) in risposta alla nota di Baricco in cui asserisce di aver ricevuto la chiamata alle arti solo dal titolo di questo libro inventato, direi che spesso non tutto quello che ci passa per la testa è pubblicabile perché ci si chiama Alessandro Baricco.
Se a me piace il pepe con le fragole non metto su di certo un ristorante con questa ricetta.
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