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TreDiNotte

Creato il 05 dicembre 2014 da Iyezine @iyezine

Genesi, scopi e deviazioni

di Sergio Freccero – pagina Facebook

In questi uggiosi giorni di ottobre e novembre dell’Anno di Grazia 2014 sono avvenuti vari e importanti accadimenti nella mia vita. Uno di questi è che la mia dirimpettaia si è spenta dopo un lungo e doloroso percorso. Questo fatto mi ha portato a riflettere sul tempo che passa e sul mio futuro, partendo, inevitabilmente, dal mio passato. Altrettanto inevitabilmente mi sono trovato a piagnucolarmi addosso notando che ormai sono diventato “grande” attraverso molteplici e interessanti esperienze.

 

Una di queste è l’essere stato parte del progetto TreDiNotte. Questa piccola realtà culturale di provincia (anzi della Provincia, essendo questo progetto radicato nelle vie e nelle piazze di Savona, dove le occasioni, di tutti i tipi, vengono sistematicamente a mancare) ha rappresentato per me la possibilità di esprimere le mie nevrosi – o, come si dice qui da noi in gergo, “sbatti” – e di metterle per iscritto, in modo che anche altri soggetti potessero conoscerle. D’altronde, come si suole dire, mal comune mezzo gaudio. Ma partiamo dall’inizio.

 

Le radici di quest’avventura si rintracciano nelle piccole e accoglienti aule del Regio Liceo Classico Gabriello Chiabrera. Negli anfratti e nei corridoi di questo istituto scolastico situato nel cuore della vecchia e appiccicosa Savona si aggirava un gruppo di studenti che miscelavano inesperienza e spocchia in ingente quantità. Questo gruppo d’intellettualucci credeva davvero di avere qualcosa di imprescindibile per la cultura occidentale da dire e così, dopo una riunione sommaria in casa di uno dei componenti di quel consorzio di sfiga e arroganza, si decise di dare vita a un “collettivo letterario” e di iniziare a pubblicare racconti su una rivista cartacea da distribuire agli studenti del loro stesso liceo. Il nome di questa nuova e immatura creatura – dotatasi addirittura di un manifesto programmatico – era LaVerdeAtomica. I membri di questa “società culturale”, affascinati dalle situazioni di disgregazione dove la natura si riprendeva i suoi spazi sulle rovine della civiltà e sui suoi ruderi, sfornavano testi e racconti dai sapori profetici e apocalittici. Tutte queste produzioni finivano poi su riviste cartacee montate a mano, in puro stile do it yourself, dai formati che non si fatica a definire ingestibili. Molto spesso si prendeva un “lenzuolo” di carta formato A2 e lo si faceva diventare il menabò che poi sarebbe finito in pasto alle macchine fotocopiatrici di qualche copisteria e, infine, piegato in quattro e distribuito. La tiratura era limitatissima, una cinquantina di copie a numero al massimo, quindi la diffusione si affidava al passamano: l’utente, dopo aver letto la rivista avrebbe dovuto passarla a un suo conoscente in modo che il pretenzioso Verbo dei ragazzi del Regio Liceo Classico potesse diffondersi. Osservando la vicenda in modo lucido, peraltro, si può dire che questo gruppo di ragazzi riuscì comunque a suscitare l’interesse di alcuni: soprattutto quella del preside del liceo (che un giorno convocò i ragazzi per chiedergli delucidazioni sulla loro spontanea iniziativa) e quella delle bidelle che si ostinavano a staccare dai muri i volantini (con su scritto l’enigmatico acronimo L.V.A.) e le copie del manifesto della rivista, scambiandoli per materiale di propaganda politica di un qualche partito sovversivo.

Con la fine dell’esperienza liceale finì anche il primo ciclo di quest’avventura editoriale: ormai troppo cresciuti e coinvolti nel vorticoso mondo delle prospettive universitarie, i nostri eroi abbandonarono LaVerdeAtomica che, circondata dai dovuti onori, morì in pace: essa ancora adesso riposa in fondo ai cuore di chi contribuì alla sua vita.

 

  • Ma i nostri ragazzi non si fermarono certo qua: dopo i primi mesi di università questo gruppo di amici decise di unirsi ancora una volta per rivedere la propria posizione editoriale al fine di rendersi fruibile a un maggiore numero di utenti e per fare in modo che il probabile nuovo progetto in cui avevano intenzione di imbarcarsi fosse più rispondente alle nuove esigenze artistiche del collettivo. Rifiutata ogni pretesa profetica e ogni estetica apocalittica, si decise per un approccio alla produzione letteraria più leggero, senza briglie imposte da un manifesto e più orientato alla descrizione del quotidiano, dell’ambiente in cui normalmente i suoi redattori si muovevano. Il nome della nuova realtà sarebbe stato dunque TreDiNotte, in modo da giocare sul doppio senso fra l’ora notturna e tre soggetti che girovagano nelle ore più buie dell’orologio (particolare da notare è il fatto che il nome del nuovo progetto è da scriversi tutto attaccato, proprio in continuità con il nome della sua “mamma”, ossia la defunta LaVerdeAtomica: un piccolo particolare nostalgico che il collettivo decise di dedicare al suo recente passato) e il suo sottotitolo, a sottolineare il cambio di prospettiva, sarebbe stato: “Alcuni di noi vedono il sobborgo e le sue comparse, altri ci vedono altro. Comunque sia noi non vi risolviamo il problema. Noi il problema ve lo facciamo notare”.

 Una nuova prospettiva, dunque, dove i nostri eroi cercano di analizzare la realtà circostante in modo leggero, fruibile e anche un po’ ridanciano, quando possibile.
  • Il nuovo progetto si caratterizza, peraltro, per l’esplorazione di nuovi campi artistici (come le rappresentazioni dal vivo, ossia i così detti reading da cui si è preso il materiale per la pubblicazione di un ep).
  • Attualmente, quindi, il collettivo di TreDiNotte si trova un po’ sbrindellato per tutto il territorio nazionale: alcuni sono migrati a Torino per proseguire il proprio ciclo di studi, altri ancora sono espatriati a Bologna o Pavia. Solo alcuni di noi sono rimasti in Liguria, divisi fra le morbose attenzioni di mamma Savona e l’astio congenito che solo una matrigna come Genova sa elargire ai propri figliocci.

 

Questo, dunque, è lo stato dell’arte al momento. Comunque voi vogliate intendere il percorso di questi sbarbatelli savonesi, io continuo a berci sopra un po’ malinconicamente e, ogni tanto, a farmi una sghignazzata.


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