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“Trentamila giorni… e una valigia” di Domenico Giombini

Da Vivianap @vpicchiarelli

1459847_10201237871134538_39153219_n… e il peggio doveva ancora venire… Così si conclude la seconda opera di questo “giovane” scrittore: 81 anni all’anagrafe ma venti per agilità, dinamismo e caparbietà. A differenza della prima opera, dove le descrizioni erano più personali, in questo caso l’autore, Mimmo per gli amici, ha voluto spaziare e allargare gli orizzonti, mettendo in risalto non più la sua persona ma l’evento. I luoghi non cambiano, perché questa è la sua vita, perché l’ispirazione parte da qui, perché le sofferenze e i riscatti hanno per cornice le pianure verdeggianti e le rigogliose colline assisane, impregnate di vissuto e di santità. La storia si può raccontare, descrivere, tramandare in diversi modi, ma quando è stata vissuta in prima persona, i ricordi diventano carichi di emozioni e scritti con il cuore: “Grazie nonno per avermi dato la possibilità di capire il cammino che è stato fatto per arrivare fino a qui.” (cit. Cristina Donati). È un libro da lasciare in eredità, per riproporre ciò che è stato, per far conoscere e tramandare le nostre origini.

Domenico “Mimmo” Giombini: atto secondo. Ammiro quest’uomo e la semplicità, ma allo stesso tempo, la passione che mette in tutto quello che fa. Conosco Mimmo come artista del legno e come scrittore e ne rispetto i suoi trascorsi di contadino ed emigrante, condensati in questo libro in cui, soprendentemente, lo stile si fa più “ricercato” e il lessico diviene meno “colloquiale” senza, per questo, ridurre la portata e l’impatto di eventi che, forse, oggi non sembrano più solo delle cartoline ingiallite dal tempo. Fa quasi paura, infatti, la consapevolezza che  “il dramma” dell’emigrazione italiana verso un futuro lavorativo migliore si stia replicando ai giorni nostri, con l’aggravante che oggi siamo tutti meno disponibili al sacrificio… Eppure, da queste stesse pagine si può trarre lo stimolo per non perdere di vista l’obiettivo finale: il sacrificio è l’unica maniera sana e giusta per “guadagnare” dignità per se stessi e per chi amiamo.


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