Il coraggio non è solo affrontare le pallottole in guerra. Il coraggio è anche affrontare le pallottole di ogni giorno, quelle invisibili, che non si possono togliere con un bisturi, restano lì dove sono entrate e scavano sempre più a fondo dentro di te. Il coraggio è scegliere di farsi ferire dalla vita invece che scappare di fronte a quella possibilità – anche quando questo comporta ferire qualcun altro, che per alcuni come te e me è il modo più doloroso di farsi ferire dalla vita. Il coraggio è restare e combattere, non certo rinunciare e sparire…
“Trentatré” è il secondo romanzo di Mirya e se mai avessi avuto dubbi sulle sue abilità di narratrice, mi sono scivolati via di dosso dopo averlo concluso. Sono inadatta a descriverne la bellezza, e visto che soffro ancora di uno dei book hangover più grossi della mia esistenza so che non sarò mai in grado di superarlo. Perché questo libro è il mio fiocco di neve, perché mi ha dato una prospettiva diversa sulla vita, perché è quel genere di libro che non ti aspetti, che ti sconvolge. Quando pensi di averlo capito ti rendi conto che ha ancora un miliardo di cose da rivelare e che questo è il libro che neanche sapevo di desiderare.
Trentatré sono i giorni che Dio Si impegna a trascorrere sulla terra, senza i Suoi poteri, prima che Suo Figlio acconsenta ad aiutarLo nell’Apocalisse.
Trentatré sono i giorni di cui Grace dispone per persuadere quel vecchio pazzo convinto di essere Dio che il mondo non può e non deve finire.
Trentatré sono i giorni in cui Michele deve affrontare i suoi demoni, per liberarsi del marchio di Caino e imparare di nuovo ad avere fiducia.
Trentatré sono i giorni necessari a cambiare per sempre le vite del vecchio Giò, di Amir, di Juliette e di tutti coloro che ruotano attorno allo stesso locale.
Perché la fortuna non è positiva né negativa, le cose migliori accadono per caso e il mondo è pieno di incastri.
Un bel libro è sempre un libro capace di regalare emozioni forti e autentiche, emozioni mai provate prima. Ma è anche un libro che ha un valore indipendente dal supporto su cui viene letto, che vive di vita propria nel lettore e che lascia sempre un’impronta profonda in chi lo prende in mano.
È quella storia che ti sconvolge la mente, ti ruba il sonno, rimane nel cuore, perfora i muri, apre la mente, regala un insegnamento. Ed è proprio questo che riesce a fare Mirya, che non si limita a raccontare una storia, ma la dissemina di punti di riflessioni, di passaggi di una magia unica, di pennellate di una bellezza incredibile e cristallina, che si consuma all’interno di una vicenda che di semplice non ha niente. Non lasciatevi travisare dalle definizioni, perché questo libro sfugge da qualsiasi tipo di incasellamento e riesce a rubarvi sanità mentale e donarvi bellezza spirituale. È dissacrante, ma vero, sentimentale ma ironico, ogni incastro è studiato al millimetro, ogni capitolo una sapiente arte di costruzione impeccabile. La trama, semplice quanto complessa è la dimostrazione che il caso non esiste, che Mirya sa quello che fa, che è disposta a scrivere il libro che vuole anche quando sa che ucciderà il cuore dei suoi lettori. Ma decisamente ha la grazia di una nevicata in piena estate. Ci si ricrede su un sacco di cose, perché si viviamo in un ecosistema di asini, ma nessuno è disposto ad arrendersi, perché la grazia si trova anche sul fondo di un boccale di birra e nella compassione di un uomo che porta il marchio di Caino in volto. Non voglio spoilerare, non voglio privarvi del piacere di leggere e amare questo libro, ma non vorrei neanche ridurmi a scrivere che questo libro è meraviglioso. Perché diciamocelo seriamente, lo è, meraviglioso.
E allora tutto parte da Dio, da quell’Apocalisse pattuita e da preparare e che nessuno sembra volere. E quel patto con i Maya che ne scatena un altro, un percorso indietro o in avanti che lo porta a scendere sulla terra, da uomo. E arriva in un posto, senza capire bene dove e conosce un gruppo eterogeneo ma complementare, che crea un legame indissolubile per raccontare una storia corale, e una storia individuale, che racconta di amore, speranza, fortuna e grazia.
E allora abbiamo Grace, una ragazza dai capelli rossi e la pelle lattea, la ragazza della copertina, che incarna il suo nome, che vive con il sorriso e si prodiga in mille modi per gli altri. Ingenua, forse, segnata dalla vita e dalla sua infanzia, ma incapace di pregiudizi e di pochezza mentale. Piena di fiducia e di pensieri prodigiosi. Grace è uno di quei personaggi a cui ci si affeziona subito, che sembrano irreali, ma che si vorrebbe sempre avere al fianco.
E poi c’è Michele, il proprietario del locale intorno cui si sviluppa l’intera storia, quella storia che respira la sua sfiducia nel mondo e nelle rosse, che vive di atti mancati, quelli di cui si priva nascondendosi dietro il suo essere burbero e scontroso. Michele è uno di quegli uomini che danno tutti loro stessi per le persone che amano ma si nascondono dietro improperi per non ammettere di amarle, quelle persone. Un uomo che sa usare le mani, in molti modi. Insomma un personaggio tanto reale, quanto meraviglioso.
Il vecchio Giò un cliente affezionatissimo di Michele ma che è molto di più, che lascia tutti di stucco con la sua perspicacia, il suo sangue freddo e la sua capacità di scovare e mantenere segreti. Un personaggio davvero indimenticabile.
In realtà tutti quelli che compaiono sono personaggi ben caratterizzati, con i propri connotati, che nascondono gradi di bellezza e di verità impressionati, che si ergono dalle pagine per regalare al lettore dei ritratti unici, delle stille di verità e passione che non si possono dimenticare, che ti rimangono dentro, che rendono meraviglioso il finale, nonostante tutto.
È allora prima di tutto questo è un libro di crescita personale, quella ricerca di sé stessi tanto cara ai romantici tedeschi, che la perpetravano in un crescendo di razionalità e sentimento. Perché ci vuole sia il cuore che il cervello, anche se a volte i maschi il cervello non lo usano, perché fa contatto con il pene. È un libro di amore, amore genitoriale, amore fraterno, amore tra uomo e donna, tra uomo e uomo e tra donna e donna. È un libro di quelli che non sono statici ma di evoluzione, di cambiamento, di respiro e di gioia. È un libro di incastri, di possibilità, di cerchi che quadrano e quadrati che si incurvano. È un libro in cui piangere è gioia e in cui sorridere è tristezza. È un libro di quelli che partono piano e finiscono come valanghe, perché i fiocchi di neve a volte si sciolgono, ma non scompaiono mai del tutto. Si parla di religione, di cosa significa essere genitori, di perdono, perché la vita fa schifo, e ci può dare una mano orribile ma sta a noi non lasciarci macchiare e rovinare. Perché i tappeti di neve fresca non possono essere sporcati con impronte crudeli. E si parla di umanità e di libero arbitri, di ricerca della verità e di libri. Si parla di vita.
L’ambientazione è generica, non abbiamo idea di dove ci troviamo e questo rende “Trentatrè” una storia universale, di quelle buone per ogni tempo e in ogni luogo. D. arriva nell’estate del 2012, ma non abbiamo altri riferimenti spaziotemporali. Abbiamo solo il locale di Michele a far da sfondo costante e insostituibile alla storia e alla comitiva. E quel locale sarà talmente importante da essere impersonificato, tanto da diventare un nuovo personaggio, tenendo compagnia a quel burlone di D.
Il particolare da non dimenticare? Una spatola per togliere la schiuma dalla birra… anzi due *smirk* ah e le calle (non a caso sono i miei fiori preferiti).
Dimenticate qualsiasi preconcetto, qualsiasi convinzione, perché la scrittrice di Ferrara è pronta a portarvi in un mondo che odora di neve, profuma di Speranza, vive di Fortuna. È un libro indescrivibile, che va solo letto. Un libro indimenticabile, pieno di Grazia, che continua a vivere in voi anche dopo aver letto l’ultima pagina. Compratelo, non ve ne pentirete.
Buona lettura guys!