C'è la sua nitida calligrafia. La stessa che riempiva fogli su fogli, consegnati al cronista, al termine di relazioni, discorsi. Qui, negli appunti ritrovati e pubblicati, c'è un po' il riepilogo della sua combattiva esistenza. Con una delle sue principali ossessioni: ricominciare dai luoghi di lavoro. E la voglia di parlare anche oggi, in tempi tanto diversi e complicati, ai suoi compagni di vita e di lotta. Non solo della Cgil.
Certo non sono più i tempi dell’autunno caldo. C'è stato in larga misura il superamento del fordismo, è nata l'economia periferica. E' stata la vera risposta all'autunno caldo, per usare le parole di Berta. E' stata la grande trasformazione o grande “trasmigrazione”, come osserva Accornero. Ma il sindacato l'ha capito? Ecco che torna valida quell'ossessione trentiniana ripartire dai luoghi di lavoro per tentare di unificare il lavoro. Ricordando che in quell’autunno la vera posta in gioco erail diritto alla contrattazione, appunto, sui luoghi di lavoro e così in seguito, fino al 1993. Il potere del sindacato insomma. Che ha risposto ai mutamenti, osserva Trentin, con limiti e inadeguatezze. I principi dell’autunno caldo andavano difesi con altri strumenti e altri obiettivi. E’ prevalsa la difesa e il ripiegamento sul solo salario. E’ mancato un rinnovamento delle strutture aziendali, è stato avviato un processo di centralizzazione della contrattazione collettiva, lo svuotamento del processo unitario, una burocratizzazione del sindacato stesso. Lo stesso Statuto è venuto con il tempo evidenziando i suoi limiti. Trentin tocca oggi, così, temi di drammatica attualità di fronte alla spaccatura sindacale: mancano le regole della rappresentanza e quelle della democrazia di mandato.
E ha ragione Epifani quando nella discussione raccolta dal libro parla delle due sconfitte dell’autunno, quella sul processo di unità sindacale e quella sulla redistribuzione del reddito. Sconfitte legate anche al venir meno, crediamo, di quel potere contrattuale di fabbrica e di territorio, caro a Trentin. E oggi il sindacato, come testimonia Benvenuto, rischia l’impotenza e la marginalizzazione. Certo, lo sostiene un altro dei leader di quell’autunno, Pierre Carniti, il sindacato può sfuggire ai rischi di burocratizzazione se sa periodicamente “trovare il coraggio, la forza, la capacità di rimettersi in discussione”. I problemi odierni hanno radice altresì nel fatto che quella stagione vincente di 40 anni fa non ha avuto un coerente sbocco politico. Lo osserva Alfredo Reichlin che invita, con ragionata impazienza, ad alzare la voce, a saper trovare nuove idee: “Sento nostalgia per i tipi come Bruno Trentin e i capi di quel movimento”. Riportando il lavoro, come dice Mario Tronti, al centro dell’agenda politica e dando la parola ai protagonisti.
Una discussione che chiama in causa anche il Pd e la sua natura, la ricerca di un’identità. Ricorda Iginio Ariemma un altro articolo di Trentin. Sosteneva che una ”sinistra del progetto” non può ispirarsi alle idee del socialismo come “un modello di società compiuto e conosciuto”. E’ possibile però concepirlo “come una ricerca ininterrotta sulla liberazione della persona e sulla sua capacità di autorealizzazione”. Introducendo nella società elementi di socialismo come le pari opportunità, il welfare della comunità, il controllo sulla organizzazione del lavoro, la diffusione della conoscenza come strumento di libertà”. Un modo per superare di volta in volta “le contraddizioni e i fallimenti del capitalismo e dell’economia del mercato, facendo della persona, e non solo delle classi, il perno di una convivenza civile». Era, ricorda Ariemma, la sua concreta utopia quotidiana. Può essere utile riproporla.
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