C’è qualcosa di nuovo sotto il cielo del Trentodoc: la stampa trentina informa che questo marchio, di proprietà della Camera di Commercio di Trento è stato da questa assegnato (regalato) al Consorzio Vini del Trentino, bypassando l’Istituto del Trento DOC. Che lo reclama per sé, per cui c’è polemica. La notizia è emersa a margine dell’incontro di presentazione della partecipazione trentina al prossimo Vinitaly dopo aver ottemperato al solito rito auto celebrativo pieno di auspici all’unitarietà del settore. Perché si litiga? Evidentemente perché dopo aver investito diversi milioni di euro sul brand Trentodoc, questo dovrebbe valere almeno i milioni di euro investiti. Così evidentemente la pensano sia quelli del Consorzio che si fregano le mani per il patrimonio incassato, sia quelli dell’Istituto spumantistico che ne reclamano il diritto d’uso.
Per capire e cercar di far capire prendiamo il sacco in cima: nel 1984 nasce dal Comitato Vitivinicolo l’Istituto spumante metodo classico perché si era capito che questo prodotto era “altro” rispetto ai vini, esattamente come “altra” è la grappa. L’impegno è premiato con il riconoscimento della DOC “Trento” il 9 luglio 1993 con approvazione del relativo disciplinare di produzione, aggiornato il 30 ottobre 2002. Come tale, la denominazione “Trento” è liberamente utilizzabile da tutti i produttori che osservano il disciplinare assoggettandosi ai controlli relativi lungo tutta la filiera produttiva e commerciale, come marchio di origine e di qualità. “Trentodoc”, invece, è un marchio collettivo nato nel giugno 2007, ispirato alla DOC, promosso e finanziato – per la promozione – dall’ente pubblico locale e utilizzabile dalle Case produttrici in abbinamento alla loro marca aziendale “per rafforzare il legame tra prodotto e territorio“.
Sembra non esserci gran differenza, ma ci sono aspetti tutt’altro che secondari. Fino alla fine del secolo scorso (!) i produttori, spumantisti compresi, co-finanziavano al 50% la pubbli-promozione da loro decisa (e le cose funzionavano); dal 2000 in poi i costi se li è accollati pressoché tutti l’ente pubblico (e le cose hanno funzionato fino ad un certo punto). Prova ne sia che è in corso una gran revisione sia a livello pubblico (Trentino Marketing/Trentino Sviluppo, Camera di Commercio) che privato (Consorzio Vini, Istituto Trento DOC, Nuovo assetto della vitienologia).Sembra altrettanto chiaro che si vada lentamente (si torni) verso una professionalizzazione delle scelte strategiche, con l’ente pubblico che … “non offre più luganeghe e biceròti en piazza” e si riprende il ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo, in agricoltura come auspicalmente anche nel turismo e negli altri settori economici. Lasciando agli imprenditori tutta l’operatività, magari finanziabile fino al 50% se in linea con gli indirizzi, come una volta.
Tanto premesso, la CCIAA – forse guardando lontano – non poteva che trasferire il marchio Trentodoc al Consorzio Vini, cui una recente normativa nazionale ha affidato assieme ai compiti di tutela delle denominazioni d’origine anche quelli della valorizzazione delle stesse. Ma il Consorzio deve valorizzare le DOC (e la “Trento” è già in portafoglio), per cui potrebbe non sapere cosa farsene di un altro marchio “commerciale“. Ed è qui che si innesta la richiesta dell’Istituto Trentodoc che, non essendo una sezione specializzata del Consorzio Vini (come lo era ai tempi del Comitato Vitivinicolo), potrebbe avvantaggiarsene proseguendo l’azione istituzionale fin qui sviluppata. Nessuno dei due organismi dispone oggi delle professionalità adatte al compito e il tutto è complicato o favorito dall’essere ambedue costituiti più o meno dagli stessi produttori.
Se ne potrà venir fuori in due modi: o con un riscaldato minestrone trentino più o meno buono per tutte le bocche, o mettendo al centro tavola il Sig. Consumatore che, stanco di incertezze, doppioni e silenzi, compra sì la marca di una o dell’altra Casa, ma il più delle volte (almeno a livello extra trentino) sceglie uno Champagne, un Franciacorta o un Prosecco sapendo cosa compra.
In definitiva la querelle sul Trentodoc nasconde una annosa carenza progettuale in grado di valorizzare soprattutto il territorio e non tanto il metodo classico come nel caso del Trentodoc, territorio testimoniato dalle marche aziendali. Il territorio è, infatti, l’unico bene non mutuabile da altri e con esso gli uomini che ne sono gli artefici. Parlare di territorio però, comporta scegliere se tenersi la DOC o passare alla DOCG (come i nostri competitori più affermati), lavorare ancor meglio in vigneto e cantina, promuovere col cuore e non con il portafoglio di pantalone. Ecco alcune sfide vere per gli uomini dello spumante trentino, altro che litigare per un marchio, quello del Trentodoc - che il territorio lo ha promosso relativamente (per i dubbi rivolgersi ai franciacortini), - che, contenendo l’acronimo “doc”, è stato fuorviante sia perché questo è vissuto dal consumatore come riferimento per “vini tranquilli” di qualità, sia e soprattutto perché ha indirettamente bloccato il dibattito sulla DOCG,- che non è riuscito a dimostrare la sua utilità su alcun mercato, dato che le maggiori vendite sono ascrivibili per lo più allo sforzo fatto dalle Case sui loro brand sfruttando la favorevole contingenza.
Insomma, a tutti gli operatori trentini converrà darsi una nuova organizzazione interprofessionale e paritetica (come più volte sostenuto) che si occupi della tutela e della valorizzazione, meglio se con sezioni specializzate per spumanti e grappe, perché ambedue hanno mondi diversi dal vino. Staremo a vedere se lunedì 26 al Vinitaly con l’annunciato anticipo delle linee strategiche sulle quali stanno lavorando le due Commissioni provinciali ci saranno le prime risposte.
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