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TREVOR PROJECT | Per un’educazione civica contro l’omofobia e patologie affini

Creato il 03 dicembre 2014 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia

trevor_project_gabardini (1)TREVOR PROJECT

Per un’educazione civica contro l’omofobia e patologie affini

 

di Maria Dente Attanasio

 

Tu sei tu, e non quello che gli altri pensano che tu sia o vorrebbero che tu fossi.

Carlo G. Gabardini

 

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Quella del giovane Trevor è una storia che si ripete e che, purtroppo, sembra destinata a ripetersi ancora per molto, molto tempo. Prendere consapevolezza del proprio orientamento emotivo (e quindi sessuale) intorno ai dodici-tredici anni ed essere costretti a subire, quotidianamente, l’ingiustificata disapprovazione altrui. Trevor ha tutti gli stereotipi del classico adolescente gay americano: ama la danza e il teatro (e di conseguenza si disinteressa del basket e del football), è creativo, effervescente, ha una passione smodata per Lady Gaga, e ha movenze e atteggiamenti eccentrici che lo distinguono dalla categoria dei normali. È il bersaglio ideale per la forma più odiosa, cattofascista e vigliacca del bullismo: l’omofobia. Trevor sarebbe felice, forse più felice dei suoi coetanei etero-orientati, ma la società (la famiglia, la scuola, il quartiere) non perde occasione per farlo sentire sbagliato, diverso, colpevole. Ha commesso un reato imperdonabile (un peccato direbbero altri), sebbene non abbia affatto scelto di commetterlo e di reiterarlo, così come non ha scelto di nascere sotto il segno del Sagittario o di prediligere lo zabaione alla vaniglia. Nessuna diversità si sceglie, in natura si danno solo unicità, ma questa semplice verità sembra sfuggire a molti (istituzioni comprese). «C’era qualcosa che non andava in me, e lo si vedeva bene. Che cosa, però? Per quanto rimanessi lì davanti allo specchio, per quanto studiassi il mio riflesso, non riuscivo proprio a vedere che cosa mi rendesse diverso da tutti gli altri. La mia vita era diventata una tragedia evidente; peccato che io fossi l’ultimo a essersene accorto.» Ferito dagli insulti, umiliato dagli sputi, schiacciato dal disprezzo, spintonato, percosso, Trevor, come molti suoi analoghi, tenterà anche la strada del suicidio. È un copione che si ripete. Sempre uguale, o con pochissime varianti. Le aggressioni verbali, le battute, le denigrazioni, la fitta sassaiola dell’ingiuria: una violenza quotidiana che marchia, etichetta ed esclude.

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L’omofobo – legittimato da certa politica e da certa Chiesa, anzi educato fin da piccolo alla subdola arte dell’emarginazione – non perde occasione di esercitare la sua virile intolleranza (con maggior ferocia quando infierisce supportato dal branco), ed è un malcelato disagio che spesso nasconde un’omosessualità repressa, latente o espletata in gran segreto (d’altra parte è oramai cosa nota che i peggiori nemici dei gay siano altri gay). Quando la vittima è giovanissima – vedi il caso del nostro povero Trevor – l’impatto psicologico è piuttosto devastante e può risolversi tragicamente. Sotto i colpi del martello il cristallo si infrange. Trevor racconta la sua storia, breve ma intensa, attraverso le pagine di un diario, con la schiettezza semplice e disarmante di un tredicenne, e poco importa se si tratti o no di una vicenda strettamente autobiografica. Trevor in realtà è un progetto educativo, operativo e militante su più fronti, finalizzato alla valorizzazione e alla tutela delle diversità. «Non sono i Trevor a dover cambiare, – scrive David Levithan nell’introduzione all’edizione americana – ma è il mondo che deve farlo.». Di omofobia – lo avevamo già ribadito recensendo Il caso Eddy Bellegueule di Édouard Louis (vedi Amedit n. 19) – non si parla mai abbastanza, e Trevor costituisce in questo senso, al di là del valore propriamente letterario, un prezioso e importante contributo. Il “papà” di Trevor è James Lecesne, che lo ha concepito in due tempi diversi sia come cortometraggio che come romanzo. Lecesne è inoltre cofondatore del “Trevor Project”, uno sportello telefonico che in America offre supporto a migliaia di giovani e giovanissimi che si interrogano sulla loro identità emotiva e sessuale. «Buttati fuori di casa, – scrive l’autore nella postfazione – rifiutati dagli amici, spesso senza nessuno a cui rivolgersi: questi giovani hanno trovato aiuto semplicemente chiamando il numero del “Trevor Project”.». Trevor andrebbe distribuito nelle scuole come testo di educazione civica, e soprattutto andrebbe distribuito alle famiglie (questi grandi mulini dell’indifferenza, dell’incomprensione e della bieca omologazione). L’edizione italiana, curata da Rizzoli, si apre con un breve scritto di Carlo G. Gabardini, significativamente intitolato A capofitto nella vita, dove si legge: «Tu sei tu, e non quello che gli altri pensano che tu sia o vorrebbero che tu fossi.»

Maria Dente Attanasio

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