Il voto di sfiducia alla sindaca di Crema Stefania Bonaldi è naufragato. La maggioranza ha retto e la sindaca, in una dichiarazione che rievocato i passi compiuti in passato per salvare il tribunale chiuso dal governo Monti – scelta incomprensibile per i cremaschi e non solo – dieci mesi fa. Una follia politica, di cui stefania Bonaldi respinge la responsabilità.
Egregi consiglieri,
potrei evitare di intervenire in quanto i vari interventi dei consiglieri di maggioranza, che ringrazio, hanno già rappresentato non solo il sentimento e l’animo con il quale abbiamo agito in questi mesi, ma hanno già portato molti argomenti, alcuni dei quali riprenderò nel mio discorso. Vi sarete accorti, signori firmatari, che con questa mozione non avete fatto altro che rafforzare e rendere granitica questa maggioranza, il cui sostegno, lo dico davvero affettuosamente stasera, mi onora oggi ancora di più.
Intervento dunque solo per rispetto per questa istituzione, che mi impone di impegnarmi nella ricostruzione che ascolterete.
Sono Sindaco dall’8 Maggio 2012. La demolizione del Tribunale inizia prima, quando a Crema governavano i firmatari della mozione, evidentemente troppo presi da sé medesimi per accorgersi che gli stavano soffiando il Tribunale da sotto il naso.
4 mesi dopo il mio insediamento, il D. Lgs. del 7 settembre 2012 n. 155, disponeva la soppressione di 31 Tribunali nazionali, tra cui il nostro, in attuazione della delega attribuita al Governo con la legge di stabilizzazione finanziaria n. 148/2011. Il provvedimento era oggetto di una serie di ricorsi al Tar e sottoposto a verifica di legittimità costituzionale dalla Consulta.
Con l’insediamento del governo presieduto da Enrico Letta, le commissioni parlamentari discutevano vari emendamenti al decreto di stabilità, finalizzati alla proroga dell’entrata in vigore della riforma, prevista per il 13 settembre 2013. Discussioni, purtroppo, prive di esito.
L’11 giugno 2013, il Presidente Napolitano, contrario a slittamenti o ripensamenti, invocava l’entrata in vigore della riforma nei termini previsti, sostenuto dai vertici del CSM, favorevoli al riordino delle circoscrizioni giudiziarie.
Il 4 luglio, infine, la Corte Costituzionale dichiarava infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito ai provvedimenti di revisione della geografia giudiziaria rimuovendo ogni ostacolo all’entrata in vigore della riforma.
Questa prima ricostruzione degli eventi si basa su fatti precisi, unico parametro in uso tra persone normali, ma taluni politici sembrano avere un conto aperto con la normalità e con i fatti.
I fatti obiettivi si contestano con fatti obiettivi, oppure facendo ricorso a gravi manipolazioni, come quelle contenute nella mozione, che strappano l’argomento alle regole del dibattito tra le parti collocandolo sul piano della patologia politica. Patologia che spinge a insinuare disinteresse da parte del Sindaco verso bisogni della collettività o, molto peggio, dolo verso i medesimi. Affermazioni imprudenti, alimentate da imperdonabile ignoranza dei fatti o da sicura malafede.
Ma torniamo ai fatti. Nessuna delle sedi per le quali era stata disposta la chiusura, è stata salvata, malgrado ricorsi e iniziative più o meno folcloristiche. Schiacciati da questi fatti, i firmatari decidono di trasferirsi nel mondo dei sogni, dove si imbattono nella parola magica Proroghe. In particolare alcune, intervenute in extremis prima del 13 settembre 2013.
Chiariamo cosa significa proroga, anche a beneficio dei consiglieri firmatari. Proroga, signori consiglieri, nel caso specifico, significa che i plessi dei tribunali accorpati, in casi circoscritti, continuano a funzionare per un periodo breve, da pochi mesi a pochi anni, per lo smaltimento delle pendenze ma, attenzione, soltanto per le cause civili e del lavoro, non per il penale, mentre le nuove cause sono già iscritte a ruolo nella sede accorpante. Sarebbe bastato questo elementare scrupolo, leggere le carte, per evitare figuracce.
Sempre per rimanere sul piano della realtà, elenco alcune delle iniziative intraprese negli ultimi 18 mesi. Preciso 18 mesi perché prima di allora a Crema, per 5 lunghi anni, proprio quelli nei quali maturava la riforma della giustizia, 3 dei 7 proponenti la mozione occupavano importanti posti nell’esecutivo cittadino, un quarto presiedeva il consiglio comunale e un quinto era addirittura Parlamentare. Tutti in posizioni ideali per non farsi scippare il Tribunale, ma come detto erano nel mondo dei sogni oppure stavano mettendo a punto la loro arma letale. Chiudersi in soffitta e aspettare che il temporale passi.
Una tecnica da loro stessi brevettata, e che io avrei disatteso impegnandomi nella costruzione del tanto deprecato progetto DIGIT SMART. Il Governo nazionale dice al Comune che sta per chiudere il suo tribunale, che bisogna attivarsi per limitare i possibili disagi ai cittadini. Il sindaco di Crema si attiva con tempestività, dunque è colpevole di efficienza. Secondo questi maestri del pensiero, avrebbe dovuto staccare il telefono, tapparsi le orecchie, aspettare che il Governo cambiasse idea.
Non sono Totò è Peppino che scrivono, ma 7 pirandelliani consiglieri di minoranza. Ma proviamo a seguire la logica di questo incredibile ragionamento.
Più o meno è come se vi informassero che i distributori di benzina resteranno chiusi per un mese, consigliandovi di non usare la macchina. Il metodo brevettato dai firmatari prevede che facciate finta di niente, perché se lasciate a casa la macchina diventate responsabili della chiusura dei distributori.
Signori, queste cose le scrive chi ci amministrava fino a ieri. Ed è ciò che si sono limitati a fare per 5 anni sul Tribunale. Si fossero mossi per tempo avrebbero evitato di produrre questo indimenticabile pezzo di letteratura.
Potremmo fermarci qui, ma il bello viene adesso.
Appena insediatami ho promosso diversi incontri con l’amministrazione comunale di Treviglio e con i rappresentanti dell’avvocatura della stessa città, per favorire un accorpamento del Tribunale di Crema con la sede distaccata di Treviglio, ma gli interlocutori bergamaschi erano saldamente orientati su una soluzione interna alla loro provincia. Annoto che prima della sottoscritta, i 25km che separano Crema da Treviglio nessuno dei firmatari e dei loro sodali li aveva mai percorsi.
Negli stessi giorni scrivevo insieme all’avvocato Aiello al Ministro della Giustizia, Paola Severino, invitandola a visitarci per constatare personalmente la situazione del Tribunale cittadino e l’importanza che tale servizio rivestiva per la città e il territorio.
Ma non ci siamo fermati qui. Sempre due mesi dopo l’insediamento e su mio preciso impulso, veniva organizzato un consiglio comunale aperto per la difesa del Tribunale di Crema, che approvava una mozione orientata alla salvaguardia del presidio giudiziario cittadino. Quel Consiglio, ben pubblicizzato, fu quasi disertato dai cittadini, dal mondo economico, ma anche da molti avvocati e operatori di giustizia.
Una seconda risoluzione, assunta dal Consiglio Comunale di Crema nell’autunno 2012, cui si riferiscono i firmatari, venne approvata all’unanimità, dunque con il parere favorevole del Sindaco di Crema, ed era finalizzata a rimarcare la volontà dell’amministrazione ad agire per la difesa del Tribunale.
Ogni atto assunto, come a tutti noto, fu notificato ai parlamentari del territorio, ai membri delle commissioni giustizia di Camera e Senato, ai sindaci del territorio cremasco, invitando ciascuno ad assumere iniziative a salvaguardia del presidio.
Ancora, nell’aprile 2013, coerentemente con la linea espressa dal Consiglio Comunale nella sua interezza, la Giunta Comunale, con atto formale, esprimeva parere favorevole alla richiesta di proroga di 5 anni, per attività giudiziaria e per attività di archivio, inoltrato poi al Ministero dal Presidente del Tribunale di Cremona. E qui apro una parentesi su uno dei punti più sconcertanti della mozione, una leggerezza incredibile, non degna di un rappresentante dei cittadini. Parlo del passaggio in cui viene sostenuto che la sottoscritta avrebbe accordato inopinatamente la disponibilità dell’immobile come archivio, pure sapendo che sarebbero state cancellate la funzione e l’attività giudicante. Questa è la prova che siete superficiali e non leggete neppure ciò che firmate. La disponibilità, infatti, era stata offerta per una proroga a tutto tondo, dunque anche per l’attività giudicante. Bastava leggere le carte, invece di seguire il richiamo della foresta. E’ stato il Ministero, gentili firmatari alla cieca, a decidere di accordare la proroga solo per l’archivio, il parere favorevole dato dal Comune era solo la precondizione necessaria perché qualunque proroga potesse essere accordata. Quando si vuole infangare bisognerebbe almeno sapere o volere leggere.
Ma proseguiamo coi fatti.
Il 9 agosto ci veniva notificato il DM che accordava alla sede del Tribunale di Crema la sola proroga per l’attività di archivio. Operate verifiche interne con il segretario generale nel periodo ferragostano e ritenuto che un eventuale ricorso avverso il decreto fosse di pertinenza della Presidente del tribunale di Cremona, alla quale la norma accorda la competenza della richiesta, la stessa veniva contattata il 22 agosto. La Dr.ssa Marini riferiva di avere già organizzato il trasferimento e non manifestava la volontà di ricorrere contro il DM per le ragioni che di seguito illustrerò.
Ciò non di meno, il 29 agosto scrivevo comunque al Ministro Cancellieri e al suo Capo Dipartimento rappresentando le contraddizioni del D.M. e chiedendo con forza, prima della data di entrata in vigore della riforma, fissata per il successivo 13.09, un emendamento che consentisse alla sede del presidio giudiziario di Crema, per la quale era già stata accordata proroga ad uso deposito / archivi, di rimanere attiva anche per i servizi ai cittadini e per l’attività giudicante.
Nella stessa lettera aggiungevo che, nel momento in cui fosse venuta meno ogni attività giudicante, era doveroso chiedersi se un impiego di risorse così ingente, da parte del Comune di Crema, ossia in ultima analisi dei cittadini cremaschi, per una mera attività di archivio, fosse ancora giustificato e sostenibile e per quanto tempo, evidenziando che, così come l’istanza del Comune di Crema, anche la richiesta del 29.04 del competente Tribunale accorpante era orientata alla proroga anche per l’attività giudicante.
Lunedì 2 settembre veniva organizzata una manifestazione davanti al Tribunale di Crema e si assumeva l’iniziativa di una missione a Roma dai sottosegretari.
Il giovedì successivo, il 5/9 una delegazione composta di sindaci, dai parlamentari Comaroli e Fontana, dall’Avv. Martino Boschiroli, dall’ex assessore regionale Rossoni nonché dal consigliere di firma e di governo Agazzi, si recava al Ministero della Giustizia per incontrare il sottosegretario Dott. Cosimo Ferri. In tale circostanza, appreso dell’imminente varo di un decreto correttivo, la delegazione chiedeva di inserire Crema fra i Tribunali per i quali prevedere una proroga per l’attività giudicante. Il decreto veniva approvato l’indomani, ma i criteri indicati (un bacino d’utenza di 180mila abitanti e oltre 6800 sopravvenienze di contenzioso nell’ultimo quinquennio) facevano sì che fra gli otto tribunali già soppressi cui, sulla base di questi criteri, era accordata una proroga biennale per l’esercizio della attività giudicante, non vi fosse quello di Crema.
Va peraltro evidenziato che nel decreto del 8 agosto che accorda a Crema la proroga per la sola attività di archivio emergono le seguenti contraddizioni:
a) Un dispositivo del Ministero che non tiene conto della istanza espressa a suo tempo dal presidente del Tribunale di Cremona che, sentito il parere favorevole delle amministrazioni interessate (Crema e Cremona), aveva chiesto la proroga per attività di deposito ed archivio, ma anche per attività giudicante;
b) Un parere contrario al mantenimento della attività giudicante a Crema da parte dell’Ordine degli avvocati di Cremona;
c) Un analogo parere contrario al mantenimento dell’attività giudicante a Crema da parte del Consiglio Giudiziario presso la Corte d’Appello di Brescia, assunto all’unanimità e che pesa come un macigno in questa vicenda. Un “unicum” nel Paese.
Ma forse i firmatari, troppo impegnati a spalare fango contro i loro avversari politici, questi passaggi non li conoscono. Loro firmano, lasciando ad altri l’onere di pensare e di agire. Il sottosegretario indicava chiaramente che sarebbe stato possibile emendare il decreto ministeriale solo con l’intervento, dopo la sua emanazione dello scorso 8 agosto, di un ricorso attestante che le condizioni logistiche presso il Tribunale accorpante (Cremona) erano tali da non potere accogliere i magistrati e gli operatori della giustizia provenienti da Crema. Tale attestazione, spettava solo alla Presidente del Tribunale accorpante (Cremona), la quale, sentita direttamente al telefono, negava ogni intenzione in tal senso.
Ignorare questi elementi è un grave “dolo”, sia da parte di coloro che erano presenti sia per coloro che sono stati informati di tale incontro.
Con questo spirito, lunedì 9 settembre analoga delegazione incontrava la Presidente del Tribunale di Cremona Dr.ssa Ines Marini, per verificare le condizioni per un intervento in extremis che potesse consentire la proroga della attività giudicante anche presso il tribunale di Crema.
La dott.ssa Marini illustrava lo stato dell’attività riorganizzativa messa in atto, la redistribuzione dei carichi di lavoro fra il personale di Crema e quello di Cremona, gli spostamenti operati e i lavori effettuati presso la sede cremonese.
La presidente mostrava molta comprensione nei confronti delle nostre preoccupazioni, ma contestava la sostenuta efficienza del presidio cremasco, spiegando che la mancata sostituzione di molti profili (magistrati e non) nel corso degli anni, ne aveva compromesso da tempo la possibilità di operare con efficacia ed efficienza. In forza di tali premesse, il mantenimento presso la sede cremasca di eventuale e limitata attività giudicante avrebbe costituito un ostacolo alla causa di una giustizia rapida e funzionale agli interessi dei cittadini. Per tali motivi riteneva l’aggregazione fra il corpo giudicante di Crema e quello di Cremona inevitabile per generare efficienza. Dunque, il 9 settembre, dichiarava che la sua organizzazione era “un treno in corsa, e che se lo si fosse fermato era a rischio deragliamento”, negando esplicitamente che il Tribunale di Cremona fosse impossibilitato a accogliere il personale di Crema, essendo ciò contrario ai dati di fatto.
Ma neppure questo ha incrinato la nostra volontà, così dopo un confronto con l’ufficio di presidenza della Consulta dei Sindaci e l’avallo unanime degli stessi il 10 settembre, la giunta comunale in data 11/09/2013, deliberava di esperire ricorso al TAR insieme all’Ordine degli avvocati di Crema, pure ritenendo che i sindaci avessero già prodotto il massimo impegno e non potessero sostituirsi ad altri soggetti, organizzazioni e livelli di governo, le cui responsabilità nel caso concreto erano state, erano e restavano assai più dirimenti e decisive.
L’Ordine degli avvocati, pure avendo avuto dal Comune di Crema un mandato pieno per un ricorso al TAR, optava per il deposito di una sola sospensiva riservandosi di produrre i motivi di merito entro un termine successivo, puntando su un provvedimento cautelare dettato dalla incontigibilità ed urgenza. La scelta del solo esperimento della richiesta della misura cautelare non veniva sottoposta a decisione dell’Amministrazione Comunale, ma assunta in autonomia dall’ordine avvocati. A tale decisione ci siamo fiduciosamente rimessi.
Dopo questa ricostruzione, documentabile fino nelle virgole, concludo ribadendo che i consiglieri firmatari si sono spinti oltre la naturale dialettica che caratterizza il dibattito fra posizioni differenti, assumendosi la responsabilità di offese al limite della diffamazione, ma soprattutto prive di fondamento. In nome del dibattito politico, non si può cadere nella barbarie.
Forse, per distrarre l’attenzione dei cittadini dalla colpevole rimozione del problema operata dalla precedente amministrazione, alcuni dei firmatari pensano di mettere in conto ad altri il prezzo della loro passata inettitudine.
Tuttavia questa brutta pagina della politica cremasca è servita perlomeno a tracciare delle biografie, a marcare delle differenze tra una politica di responsabilità e di servizio e una politica degli istinti più ciechi.
E’ servita a dare risposte sulle ragioni per le quali il Paese intero si è adagiato su un crinale dal quale non riesce a risalire. La causa è nella sommatoria di questi atti di aggressività e di dilettantismo, meschini e lontani dagli interessi collettivi. La causa della rovina del Paese è in questa politica priva di competenza eppure zeppa di arroganza e di visceralità, una politica che diseduca le nuove generazioni, una politica che droga di sé coloro la praticano e ce li consegna per l’eternità, come un debito inestinguibile.
Per questo sono io, signori consiglieri firmatari, a sfiduciarvi per tutti i giorni a venire. Sono io a sfiduciarvi, perché cerco di rappresentare con il lavoro quotidiano, con la competenza e con la rettitudine questa comunità, che, credo a differenza di voi, amo profondamente. Una comunità fatta di persone operose, che prendono sul serio la vita e non trovano il tempo di giocare cinicamente alla politica, perché oppresse da problemi che non sfiorano nemmeno il fortino delle vostre illusorie sicurezze.