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Tribunale svizzero: non è illecito chiamare i frontalieri italiani «topi». Di fatto, si è sempre terroni di qualcuno!

Creato il 20 agosto 2011 da Iljester

Tribunale svizzero: non è illecito chiamare i frontalieri italiani «topi». Di fatto, si è sempre terroni di qualcuno!

Qualche tempo fa, l’UDC svizzero aveva avviato una campagna di slogan decisamente pesanti nei confronti dei frontalieri italiani, e cioè di quegli italiani che ogni giorno varcano la frontiera svizzera per lavorare nel paese delle banche. Slogan nei quali gli italiani venivano considerati dei «topi», perché mangiano il «formaggio» svizzero del Canton Ticino, e cioè il lavoro che parimenti viene sottratto ai legittimi cittadini svizzeri, i quali – a titolo informativo – non sono altro che svizzeri di ceppo italiano, tanto che si potrebbe parlare di una sorta di guerra fra italiani: i primi di cittadinanza svizzera e i secondi di cittadinanza italiana.
Ebbene, i frontalieri si sono sentiti toccati da questo attacco e hanno ricorso al tribunale svizzero, il quale però ha rigettato l’istanza, perché il danno non è stato comprovato. Non solo, ha posto a carico dei frontalieri il pagamento delle spese processuali.
A conti fatti, dunque, non è illecito chiamare i frontalieri italiani «ratti», dimostrandosi che tutto sommato si è sempre i «terroni» di qualcuno. La questione perciò è diversa. Ha senso che esistano certe irragionevoli questioni di territorialità lavoristica? Del resto, non è la nazionalità o la località dalla quale si proviene che dovrebbe urtare leghisti e svizzeri ticinesi, quanto la volontà o meno di integrarsi in un dato tessuto sociale e contribuire con il proprio impegno lavorativo a rendere il territorio più dinamico ed economicamente appetibile. Così è per lo straniero che viene in Italia, con un aggiunta: la volontà di accettare la cultura e i valori dell’italianità. Ecco quali sono i parametri da ponderare. Non già la nazionalità in sé. Perché è chiaro che se un immigrato dimostra di volersi integrare nel territorio che lo ospita, lavora e vuole essere parte di quella società e di quei valori, abbracciandoli integralmente, non è certo da cacciare, ma da accogliere. A maggior ragione se i punti di contatto tra quell’immigrato e il territorio non sono solo economici, ma anche culturali e di lingua, perché davvero, c’è ben poca differenza tra un cittadino di Como e uno di Lugano.
Se questa è vero, sarei curioso di sapere cosa ne pensano i leghisti di questa sensazionale sentenza che legittima l’appellativo «topi» per gli italiani che lavorano oltre frontiera, visto che quegli italiani sono probabilmente tutti cittadini della cosiddetta Padania che vivono sul confine. Mi chiedo se giustifichino questo appellativo, considerandolo corretto in base al loro modo di classificare il nostro paese in lumbard e terun. Oppure, si sentano colpiti dal fatto che da oggi in avanti (se non da sempre), per gli svizzeri i padani non sono altro che dei «topi» che varcano la frontiera per sottrarre il lavoro ai ticinesi…

di Martino © 2011 Il Jester 


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