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Tribute band? No grazie

Creato il 10 aprile 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

Bene (o meglio, non bene). Quello di cui avrete intuito, sto per parlarvi, è il famigerato fenomeno delle tribute band (o cover band, che tanto è uguale) che a tutti gli effetti fanno sempre più parte del mercato musicale, pardon, mi ricorreggo; SONO DAPPERTUTTO. Ogni sagra, ogni festa o evento che si rispetti, ormai ne ospita una. Il che, contrariando apertamente il titolo dell’articolo, non è necessariamente un male.
Purché sia fatta come si deve.
Il problema è che molti credono che imbracciando una chitarra e ricordando vagamente qualcuno, si diventi una tribute band. Beh, avrei qualcosa da ridire. Prima d’intraprendere un certo tipo di avventure si dovrebbe seriamente conoscere ciò che si va ad imitare, prima di farlo diventare uno scimmiottare, specie perché scimmiottando, non solo si diventa un insulto al gruppo di riferimento, ma soprattutto si deludono clamorosamente le aspettative dei fans.
Escludo da tale giudizio soprattutto i Regina (dimostrazione che si, fare le cover dei Queen è un lavoro duro, ma qualcuno è riuscito degnamente a farlo), i Nuvole e lenzuola (cover band dei Negramaro) e i Champions liga (come ovvio dal nome, non penso serva il sottotitolo), che mi è capitato di sentire dal vivo ed ho trovato davvero positive. Un vero tributo insomma.
Ma… ecco che arriva il ma, il mio pensiero va all’altra faccia della medaglia e non so davvero da che parte incominciare.
Ok, ho deciso, lo farò dall’inizio.

Tribute band? No grazie

Avete presente i Placebo?! Beh, la loro tribute band no.

Ora, non so se qui scendo nel melodrammatico, ma credo che la suscettibilità dei fans del gruppo di cui fate i pezzi, non debba essere urtata, anche perché teoricamente parlando (nemmeno tanto teoricamente), si tratta delle stesse persone che verrebbero a vedere le vostre esibizioni. Mi spiego meglio; se io non sono fan di tizio e non mi è mai fregato niente di lui, sti gran cavoli che vado a vedere un live di chi gli fa le cover. O no?!
Proprio per questo motivo, passeggiando per il web, la mia faccia si è sformata stile Urlo di Munch.
Cercando qualche notizia su di loro, sono incappata in questo gruppo, i Chemsonic. Non sono nemmeno riuscita a capire se suonano ancora, visto che dallo spaces tutto lascia intendere che la loro attività si sia estinta nel 2010. Fatto sta che non sono esattamente ciò che definirei un buon esempio.
Fornisco, come è giusto che sia, una spiegazione più dettagliata di quanto sto dicendo,visto che l’orecchio ancora credo funzioni a tutti.
Ora, voglio evitare di spammare. Basta cercare Chemsonic su google. Ascoltate la loro versione di Twenty Years e poi l’originale, o viceversa, è sufficiente una canzone sola per rendersi conto delle enormi differenze. Troppe.
Più che la versione album, riguardo agli strumenti, a me sembra di ascoltare un midi per il karaoke, ma detto da una che ha suonato al massimo il triangolo e il flauto, poco vale.
Passando al cantante, qui invece posso pronunciarmi più giustamente: timbro interessante, ma non così simile a quello originale come si voglia far pensare.
Ovvero, non è che rifilando un misto tra gola e naso si ottenga un qualcosa di poi così simile alla voce di Brian Molko, tra l’altro più unica che rara. Invece di fare imitazioni avrebbe fatto meglio a cercare una propria strada indipendente.

Molti pensano sia la cosa più semplice, ma non è così. Non ha niente di facile, sforzarsi per riprodurre ciò che qualcuno fa con naturalezza e meglio. Non si può fare una cover meglio dell’originale, la bravura sta nel ridurre al minimo possibile lo scarto tra un’interpretazione e l’altra.
Anche riuscire in imprese così è un talento, che come tale va seguito, coltivato ed in tal caso misurato col proprio punto di riferimento.

Io ho portato il mio, ma non è l’unico esempio in circolazione. Il mondo è pieno di cover band, di cui poche fatte bene. Apprezzate quando ne vale la pena, per il resto, diffidate dalle imitazioni.


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