Va’ che vi dico la fine!
Visto nella libreria anobiana di una persona che ammir(av)o, con un giudizio breve, simpatico e, tutto sommato, lusinghiero. Però, sì, è vero che ogni tanto fa bene spararsi in testa un romanzetto tutto leggero e fru-fru e così via, ma ci son di quelle leggerezze che pesano.Comunque: libro diviso in tre parti. Prima parte: la storia della zitella simpaticona che prende una settimana di ferie e va a fare un corso di scrittura creativa per imparare a scrivere un Harmo… pardon, un Melody. Che cosa le succede? Niente. Va là e impara, conosce gente, spettegola un po’, torna a casa, scrive, ritorna al corso, si fa bastonare perché ha scritto male, amen. Seconda parte: le istruzioni della cattivissima editor (nonché grande scrittrice di Melody) distribuite in fotocopia ai partecipanti al corso. E anche a noi, ahimè. Le prime istruzioni (pagine e pagine su come si imposta un romanzo rosa stile Harmony/Meldoy) sono spassose: uno legge e dice: eh, sìssìssì, è proprio così, che cretinata, è vero, il bello, la bella, il pensieroso, la sciocchina, il ricco, eccetera. Terza parte: i capitoli del romanzo rosa che come compito, in otto giorni, la nostra protagonista (e gli altri corsisti) devono spiattellare.
Ecco, questi capitoli sono la parte migliore.
Perché: che cosa succede alla protagonista (niente, cioè sì, ha due nipoti, una le vuole affibbiare un cane, e poi lei gioca a carte con le amiche e beve il tè, mi sembra), ve l’ho già detto; le spassose istruzioni sono spassose la prima volta; to’, la seconda; poi basta, eh. Ho cominciato a saltare di brutto la descrizione minuziosa di come devono essere i vestiti dei protagonisti del Melody, su come devono essere i dialoghi del Melody, su come nel Melody non si deve andare al gabinetto e cose così; mi è rimasta la storia del Melody, che è carina, ed è bello vedere come caratteri e vita dei protagonisti si modificano giorno per giorno (capitolo per capitolo) secondo le istruzioni della severissima maestra di scrittura, che poi li pianta lì tutti e va su una limousine (o roba del genere) dopo aver scelto chi le succederà a scrivere i futuri Melody mentre lei si farà spupazzare da un uomo alto, bruno bello e ricco.
Per carità, buona idea, alcuni passaggi spiritosi, ma, davvero, meglio un Melody vero.
Due stelle son fin troppe.
La trama si infittisce
Stavo recensendo Biscotti e sospetti invece di questo. Per dire come mi era rimasto impresso. Però sempre meglio dell’altro: qui c’è una trama. Se non ricordo male, una Lei che è innamorata di un Lui, che però è innamorato/si innamora dell’Altra, un po’ porcella e pure dedita a certe sostanze psicoattive o psicotrope, anche se il porcellamento lo sappiamo noi e lui solo dopo, magari in modo un po’ brusco, ma vabbè, e poi Lei allora fa una gara di –tipo– Biscotti – da qui l’equivoco iniziale – per poi andarsene chissà dove e nel frattempo appare anche l’Altro che le mette gli occhi addosso, ma a lui glieli mette addosso la Terza – che però, fuori dal convento, li mette addosso un po’ a tutti, gli occhi, basta che camminino – e c’è anche una storia misteriosa nel Passato del cinico Padre di Lui e della arrivista Madre della Terza (o forse Zia?), ma alla fine credo che tutto si sistemi, più o meno.L’autrice mette a frutto le istruzioni che poi inserirà in “Romanzo rosa”, e il risultato è migliore.
Due stelle e mezza
Stavolta sto recensendo il libro giusto. Ho proprio letto “Biscotti e sospetti”, anche se i biscotti non c’entrano niente, stavolta. E neanche i sospetti, mi sembra. Però il titolo un suo motivo ce l’ha, lo scoprirete alla fine. Bene. Comunque: mi piacerebbe scrivere una di quelle recensioni fulminanti che in quattro parole ti spiegano il libro, ma ‘un gliela fo. Però posso dire che son due stelle e mezza e abbondanti, stavolta. Perché non 3, allora? Be’, perché tre le ho date ad Alice Munro, per dire; o ad Avoledo, Ira Levin, Preston&Child, e compagnia, e non riesco a dare stelle indipendentemente dal (mio) passato. La mezza in più viene dal fatto che, questo, è meglio degli altri due che ho letto della stessa Bertola. È più denso, più costruito, meno superficiale, ugualmente leggero (in senso piacevole). Magari disorientante: nelle prime cinque pagine si incontrano i primi trecentosette personaggi, comprese Clelia Poma Grillo, Adelaide, Violetta, Caterina, Manfredi Chiarelli, Iolanda Bonino di Quaregna (nelle prime due pagine), e poi Elisabetta, Evelina, Emi(lia?), Rebecca, Silvia, Mattia, Davide, Tom, Ross Morton e Belinda. Ecco. Poi, però, si comincia a capire chi è questo e chi è quella (personaggi sufficientemente caratterizzati, direbbe il critico serio, anche se poi, aggiungo io, fanno tre lavori diversi per ciascuno, con nomi diversi, e quello ti distoglie un po’ dalla trama…). Sì, giusto, la trama… Scegliete voi: c’è la trama della sorella matta che fa diciotto lavori (tre era la media tra lei e gli altri), quella della sorella tranquilla che ha bisogno di soldi, quella della madre separata che fa tre lavori (sì, proprio tre, mi sembra), quella dell’indianina (intesa come abitante dell’India) malinconica (sì, malinconica una bella merda, ma così vi rivelo troppo), quella dello spupazzatore di femmine (il mio preferito, perché è l’unico di cui, fino alla fine, io non ho capito da che parte si sarebbe sbilanciato), e così via.Un bell’affresco, direbbe sempre il critico serio, à la Bruegel, solo che i colori sono più vivaci e i personaggi più scemi. Ma se avete una manciata di ore da buttare, per rilassarvi un po’, questo va bene.