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Trilogia Bramard – 1

Creato il 22 marzo 2021 da Annalife @Annalisa
Trilogia BramardChiri tsubaki

Mi hanno detto che Baricco ha detto che c’è un autore di gialli fine letterato e scrittore meraviglioso, perciò sono andata a sentirmi tutta la recensione di Baricco su Davide Longo, che non conoscevo per nulla, e mi sono fatta convincere. Così, subito dopo, ho letto di filato, uno via l’altro, i tre libri di Longo che fanno parte della serie su Bramard e Arcadipane, e questo è il mio illuminato parere.

Vero è che il primo romanzo (“Il caso Bramard”, pubblicato nel 2014 da Feltrinelli e ripubblicato ora da Einaudi) parte con afflato letterario. Di certo le prime pagine si leggono (e si rileggono, volendo) con attenzione, non con la fretta semplice con la quale si affrontano i gialli classici: se questi, ben scritti che siano, ci prendono e ci trascinano nel bel mezzo dell’azione più o meno violenta, nelle spire di personaggi più o meno già conosciuti, quella di Bramard è una storia che parte involuta, che si svolge piano, che semina lungo le righe particolari di altre storie, abbandonati lì, e descrizioni accurate, di salita lenta, come lenta è l’ascesa al monte con la quale conosciamo il protagonista.

Basta questo a farne, come dice Baricco, “una delle cose più belle, forse anche importanti, che siano state scritte in Italia”? Direi di no, quindi aggiungiamoci pure la scrittura con “i colori le traiettorie, le curve, le esitazioni, il ritmo, le velocità che sono necessari per lo scrivere letterario”. È solo che, essendo poi alla fine questo un vero giallo, dopo un po’ Longo si adegua (per modo di dire) e pur continuando a scrivere bene, imprime alle pagine quell’accelerazione tipica del poliziesco e le pagine curve e piacevolmente esitanti si rarefanno.

Allora, lasciamo Baricco e la sua santificazione della trilogia, per un romanzo che rimane comunque piacevole, con bei personaggi, tristi, malinconici, problematici, tra nebbia e pioggia, e di scarso appetito (questo lo dico perché Baricco cita i protagonisti di altri gialli, sani, al sole e mangioni). Corso Bramard, il protagonista del primo romanzo, ha alle spalle una storia difficile, di lunga durata, tanto che ci si chiede se, forse, non ci sia qualche romanzo precedente che ne parla. No, non c’è, e il dramma passato si rivela lentamente, con flash successivi, accenni, ricordi, mentre il giallo presente cerca una risposta. Risposta che è come dire, un po’ tirata via (parere personale) nelle ultime pagine, tanto che mentre leggevo mi chiedevo: come, tutto qui? Già finito? Bim, bum, bam, tutto risolto (o quasi)?

Per il resto, ho apprezzato la scrittura, anche quando si fa ricercata, a caccia del sinonimo colto o della citazione inusuale; il racconto, con la scelta di riportare all’attenzione dei protagonisti un caso vecchio, ormai accantonato (anche se non risolto), e di rinunciare quindi alla tensione mozzafiato che può prenderci in altre storie; i protagonisti: Bramard in primis, anche se con le solite involute contraddizioni del poliziotto con un passato drammatico e un presente amaro e solitario (Baricco, e scusate se lo cito ancora, dice che è una novità; a me non pare proprio); Arcadipane, qui comprimario ma destinato a ben altro, anch’egli imbastito – classicamente – con le contraddizioni tra lavoro e famiglia, la fiducia nei sottoposti e i modi bruschi con cui li tratta; Isadora Mancini, che è così tanto, ma così tanto l’hacker di Michael Blomkvist che a un certo punto (pag. 116) si trova a dover chiarire (a Bramard e a noi): “Non sono Lisbeth Salander”. E poi tutti gli altri, che anche con una semplice comparsata sono in grado di dirci come sono e di farsi ricordare, loro e le loro debolezze, i difetti e le storie incompiute.

Bella anche la scelta di raccontare con grazia e partecipazione, e con la necessaria lentezza, i luoghi, la natura, la montagna, la casa di famiglia, la Torino di Porta Nuova, di corso Vittorio, dei tram, delle piazze assolate o nuvolose.

Insomma, tolto quel finale un po’ così, direi un bel giallo, che fa da sfondo alle relazioni, ai dialoghi, e agli enigmi umani più ancora che polizieschi.


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