qui nell’edizione Feltrinelli
Quando si arriva al secondo romanzo di Davide Longo, quello di Arcadipane, ci si dimentica di tutto il panegirico di Baricco e si pensa soltanto a godersi il giallo, che stavolta affonda apparentemente nella storia lontana della guerra mondiale, ma forse è cosa che riguarda più da vicino.
Tocca ad Arcadipane scoprirlo, appunto: e se nella prima puntata sembrava che il perno su cui sarebbe ruotato tutto sarebbe stato il commissario Corso Bramard, ora è il suo sostituto a farla da padrone. Corso appare a tratti, giusto per far sapere che c’è, che la sua intelligenza e il suo fiuto sono ancora quelli di sempre, che le intuizioni di Arcadipane possono essere giuste o meno… ma, insomma, stavolta il protagonista è Vincenzo.
Nella trama compaiono anche nuovi personaggi, non sempre risolti al meglio della credibilità. Ci sono una psicoterapeuta alquanto singolare, in una situazione che all’inizio ho fatto fatica a comprendere; il dirigente di una squadra specializzata in crimini della Seconda guerra mondiale che ricalca a meraviglia lo stereotipo dell’investigatore esterno venuto a rompere le uova nel paniere della verità; la giovane agente ribelle che più ribelle non si può però è brava quindi usiamola… Ci sono nuove situazioni: con Corso Bramard isolato, a distanza, vicino alle amate montagne, e una serie di storie che corrono parallele all’indagine (una fra tutte, la crisi personale, famigliare lavorativa e… canina di Arcadipane).
Tuttavia, anche se, detta così, pare vi sia troppa carne al fuoco, la lettura è agevole, la scrittura chiara (con qualche svista sintattica o di punteggiatura che non so se attribuire all’autore – mi sembra strano – o a un editing superficiale come quello cui ci hanno abituato le grandi case editrici), e il dipanarsi della storia ‘gialla’ interessante. Interessante ma non so quanto aderente al clima degli anni di piombo che vengono evocati da un certo momento in poi, che io ricordo molto di striscio, ma che comunque mi hanno lasciato la memoria di una cappa pesantissima, pervasiva, onnipresente, capace di toccare sia i diretti interessati, sia la gente qualunque, alla quale non era concesso di dimenticare se non per brevi periodi, o attimi, il magma grigio in cui si era immersi. Forse è questa la nota meno accordata all’interno di racconto dove l’accaduto, per quanto assai articolato e dipanato a vari livelli, parte tutto sommato da una scintilla più casuale che inserita in un quadro così ampio e sanguinoso come fu quello di quegli anni. L’impressione è allora che, spostati in altro periodo, date nuove divise agli antagonisti, i protagonisti si sarebbero comportati nello stesso modo e con le stesse conseguenze.
Sta di fatto che, tolta questa annotazione, siamo ancora di fronte a un bel libro, a una storia complessa ma piacevole da seguire, con una soluzione finale che, a distanza, mi appare un po’ troppo da coniglio nel cilindro ma che sul momento mi ha soddisfatto completamente. Qui e là, poi, alcune annotazioni, descrizioni, osservazioni non banali, dove ciò che conta non è più soltanto il racconto ma anche il modo con il quale si riesce a esprimerlo.
Davide Longo, Le bestie giovani, Einaudi Stile libero Big, 15 euro, 416 pp.