No all’Italia petrolizzata
Hoconosciuto Maria Rita D’Orsogna (nella foto) solo di recente, dopo quello chein inglese viene definito un “misunderstanding”, un fraintendimento initaliano, ma che possiamo anche definire una “gaffe”, da parte mianaturalmente.Laracconto in breve in quanto da l’idea immediatamente del carattere delpersonaggio che ho avuto oggi l’onore di intervistare (a distanza, in questomomento Maria Rita è a Santa Monica in Califormia, nei pressi dell’Universitàdove insegna fisica), e della quale riporto con estremo piacere ledichiarazioni in questo articolo che mi auguro possa chiarire le idee sulproblema delle trivellazioni petrolifere nel Mediterraneo a chi avrà modo dileggerlo.Lanostra conoscenza risale a qualche settimana fa, quando la rassegna stampa di“Google” mi segnalò un articolo sulle trivellazioni in Italia pubblicato in unblog dedicato a tali temi, riferendosi particolarmente a quanto da qualchetempo stava accadendo in Abruzzo e davanti alle sue coste. In esso si parlavaanche del problema delle trivellazioni nello Stretto di Sicilia intorno aPantelleria, e notai che erano riportate in proposito alcune inesattezze. Chiè Maria Rita D’Orsogna ? Cenni biografici ...Sonofiglia di genitori abruzzesi emigrati negli USA prima che io nascessi. Per tuttala vita ho vissuto fra due mondi diversi – il Bronx e i campi d’Abruzzo – chefanno ugualmente parte di me e che in un modo o nell’altro si complementanonella mia vita.Hostudiato fisica all’Università di Padova e poi sono venuta negli USA a fare ildottorato, a Los Angeles. È una città che agli europei può sembrare difficile –con spazi enormi, la necessità di una macchina, la mancanza di un vero centrocittadino – ma che io amo particolarmente. È una città dove la maggior partedegli abitanti non è bianca e in cui nessuno si sente diverso, perché veniamotutti da paesi, e culture distinte. C’è molta ricchezza umana e culturale qui,e una volta arrivata non sono voluta più andare via. È la mia casa.Professionalmente sono un fisico, professore associato presso il dipartimentodi matematica della California State University at Northridge, a Los Angeles.
Com’ènato il suo impegno in fatto di tutela ambientale in Abruzzo e in Italia(Adriatico, Basilicata, Pantelleria, etc.) ?
Nell’ottobredel 2007 mi telefonò un amico da Lanciano, in Abruzzo, dove vivono i mieigenitori e in conversazione menzionò questo misterioso “Centro Oli” di Ortona.Non c’erano molte informazioni all’epoca su quella che poi scoprimmo essere unaraffineria proposta dall’ENI fra i campi del Montepulciano per trattarepetrolio di scarsa qualità e fortemente inquinante. Capii subito però cheestrarre petrolio scadente e raffinarlo fra i vigneti era qualcosa di nefastoche non avrebbe portato niente di buono all’Abruzzo. Così, anche se da lontano,anche se tutti mi dicevano che era una battaglia persa, mi misi all’opera.
Presidei libri dall’università e studiai meglio la situazione, parlai con colleghiamericani, con persone di Ortona. Una volta che il quadro mi divenne chiaro –sui limiti emissivi di sostanze inquinanti in Italia, sull’idrogeno solforato,sugli effetti degli scarti petroliferi nella vita delle persone e sul cicloagricolo e ambientale – ho cercato di diffondere il messaggio ai cittadini.Pian piano la battaglia si è allargata alle concessioni marine d’Abruzzo e inaltre parte d’Italia: con inviti di coinvolgimenti in altre realtà locali comeSavona, la Brianza, la Murgia, il Polesine. Chioggia, le isole Tremiti, laBasilicata, il Salento, Pantelleria. Come dire di no?
Allafine siamo un Paese solo e salvare l’Abruzzo non serve a niente se poi invece ipozzi li fanno in altre regioni. Ovviamente il tempo è sempre tiranno, ma cercodi fare il meglio che posso, anche con qualche sacrificio personale in terminidi tempo libero.
Ilcoinvolgimento del nostro Paese a favore della difesa dei suoi tesori. Comeriuscire ad ottenerlo ?
Sicuramentecon l’informazione, con un maggior attivismo da parte dei cittadini, e con lapressione sui nostri politici. I progetti petroliferi riguardano tutta ladorsale adriatica e si snodano dal Piemonte alla Sicilia. Occorre che l’Italiadecida che tipo di nazione vuole essere – un campo di petrolio, o quello che asuo tempo era il giardino del mondo? Non possiamo essere tutto allo stessotempo. Non possiamo pensare di attrarre turisti in Salento o a Pantelleria edaccoglierli con raffinerie e pozzi di petrolio. Abbiamo l’esempio lampante diTaormina e di Gela. La prima tanti anni fa rifiutò di diventare sede diimpianti petrolchimici, la seconda disse si. A distanza di 50 anni, e’ evidentequale sia stata la scelta più oculata e chi ha ora una qualità di vitamigliore
Pasqualede Vita, il presidente dell’Unione Italiana Petroliera afferma che l’Italia èin “competizione sbilanciata” con l’Arabia Saudita per la produzione dipetrolio perchè nel nostro paese la protezione dell’ambiente pone maggiorivincoli che in Arabia Saudita. Ci si deve rendere conto che non siamo e nonsaremo mai l’Arabia Saudita! Affermazioni come questa possono essere fatteperché, almeno sul tema petrolio, in Italia veramente manca l’informazione dibase, diffusa. Molte persone pensano che il petrolio li farà arricchire e che ètutto necessario per i nostri stili di vita del 21esimo secolo.
Invece non ècosì: intanto ad arricchirsi saranno gli investitori stranieri e non certo icittadini, visto che le royalties, e in generale le percentuali che restano sulterritorio in Italia, sono bassissime.
Ilpiù grande giacimento europeo è in Basilicata e produce solo il 6% delfabbisogno nazionale. Questo vuol dire che volenti o nolenti, continueremo aimportare petrolio dall’estero a lungo. La Basilicata è un ottimo esempio dellamancanza di informazione: quando i petrolieri – ENI e Total – arrivarono circa15-20 anni fa promisero mari e monti. Oggi la Basilicata è la regione piùpovera d’Italia, trovano petrolio nel miele, le dighe sono inquinate daidrocarburi, con morie di pesci, alcune sorgenti idriche sono state chiuse,seppelliscono immondizia tossica petrolifera nei campi e trivellano nei parchi.
Vigneti, meleti e campi di fagioli che sorgono vicino a pozzi e raffinerie sonorovinati. I tumori aumentano e così pure la disoccupazione e l’emigrazione.
Èquesto che vogliamo per l’Italia? Per il 6% del fabbisogno nazionale dipetrolio? Non sarebbe più intelligente invece incentivare seriamentel’industria del fotovoltaico obbligando edifici e fabbriche ad installarepannelli solari o obbligando i costruttori a costruire edifici eco-sostenibilie a risparmio energetico?
Ilgoverno centrale fa poco per diffondere informazione, e anche per monitorareche tutte le attività petrolifere siano condotte nel rispetto delle regole. Afronte di tutti questi disastri ambientali in Basilicata non ho mai sentito ilMinistero dell’Ambiente pretendere maggiori controlli, fare multe salate oaprire cause contro l’ENI e a difesa dei cittadini. Mai. Spesso gli investitoristranieri sanno ciò che accade in Italia prima e meglio degli italiani stessi.Io stessa prendo la maggior parte delle informazioni dai siti stranieri. Com’èpossibile tutto questo? Come mai il governo norvegese spiega ai suoi cittadinisulle sue pagine web e in inglese, in modo che tutti capiscano, che leestrazioni di petrolio “causano inquinamento all’aria, all’acqua e ai fondalimarini”, mentre il governo italiano non dice niente?
Abbiamolimiti legali spesso migliaia di volte più alti che in altri paesi – per ladiossina, per l’idrogeno solforato ad esempio – oppure dei limiti in mare perle trivelle che sono veramente ridicoli. Fino al 2010 si potevano costruirepiattaforme dove si voleva. Nel 2010 arriva il decreto Prestigiacomo che imponeil limite a circa 9km da riva. In California, per contro, è dal 1969 che non sicostruiscono più impianti petroliferi in mare, e la zona di interdizione alletrivelle off-shore è di circa 160 chilometri per proteggere turismo e pesca. Ilraffronto non regge: 9km contro 160. Che protezione può offrire un pozzo a 9.5chilometri da riva?
Quiin Italia molto spesso il cittadino comune queste cose non le sa. Ma anchequando le sa, l’attivismo degli italiani è spesso deludente. Ci sono cittadinieroici, ma la persona media crede che ci sarà qualcun altro che li salveràoppure, accetta tutto fatalisticamente, ritenendo che è inutile perderci tempoperchè tanto è tutto già deciso. Questo è un atteggiamento sbagliato perchè nonsi cresce – e che esempio diamo ai giovani se ci arrendiamo prima ancora dicominciare? O se lasciamo credere loro che l’idealismo non porta da nessunaparte? Vincere invece è possibile, se ci si crede davvero e se si è tuttiuniti.
Bastasolo guardare com’è finita la storia del “Centro Oli” di Ortona: l’ENI loconsiderava un progetto di punta, aveva tutti i permessi pronti, il presidentedella regione Abruzzo all’epoca Ottaviano del Turco e il sindaco di OrtonaNicola Fratino erano favorevoli; l’assessore all’ambiente Franco Caramanicoaveva detto che si trattava di una occasione che l’Abruzzo non poteva perdere,e le trivelle erano pronte per partire. Avevano detto sì anche Bersani, DiPietro e Pecoraro Scanio.
Invece grazie all’informazione, e all’attivismointelligente dei cittadini siamo riusciti a scongiurare la costruzione diquesta raffineria. Abbiamo martellato la classe politica per mesi ed anni,facendo diventare il tema del petrolio uno dei più importanti della campagnaelettorale del 2008-2009.
Siamo riusciti anche a sconfiggere alcuni pozzi amare d’Abruzzo – della Petroceltic e della Mediterranean Oil and Gas – sebbenel’attuale presidente della regione Gianni Chiodi non si mostri particolarmenteinteressato alla faccenda. Il tutto perchè noi cittadini l’abbiamo fortementevoluto, e voluto più dei petrolieri e di alcuni politici corrotti.
Ilpericolo delle piattaforme off-shore nei mari italiani sta crescendo con unritmo esponenziale. Come affrontarlo?
Comesopra: con l’informazione, l’attivismo, la pressione incessante sui politici.
Peri pozzi già trivellati purtroppo c’è poco da fare, e si può solo esigere che iltutto venga fatto il più possibile nel rispetto dell’ambiente. Ma per quelliancora non autorizzati c’è molto che si può fare. A livello civico, l’Europaimpone che il parere dei cittadini per tutti gli impianti di forte impattoambientale sia ascoltato e rispettato.
Il Ministero dell’ambiente e delleattività produttive lascia un periodo di circa 60 giorni in cui si possonovalutare i progetti petroliferi (ma anche di inceneritori, cave e discariche) ein cui i cittadini possono dire la loro in modo ufficiale o “scrivereosservazioni”.
Lascrittura di testi al Ministero è uno strumento importante che la gente perònon conosce o in cui non ripone troppa fiducia, proprio per mancanza diinformazione. In Abruzzo a suo tempo abbiamo messo su una forte campagna dicoinvolgimento dei cittadini per i pozzi descritti sopra, e abbiamo mandatooltre 200 lettere di opposizione da parte di cittadini, associazioni e anche daparte della chiesa cattolica direttamente al Ministero dell’Ambiente.
IlMinistero ha poi bocciato il pozzo “Ombrina Mare” citando anche le nostreosservazioni fra le motivazioni del diniego. E una cosa simile sta avvenendoalle isole Tremiti, dove gli avvocati stanno facendo ricorso al TAR contro letrivelle Petrocelitc nei mari del Gargano – una follia -, usando proprio le nostreosservazioni come una delle argomentazioni contro le piattaforme, in quantomanifestazione della volontà popolare nel rispetto delle leggi europee.
Unainiziativa simile è in corso anche per le trivelle a Pantelleria: e se si vuolemanifestare la propria contrarietà al governo, basta solo seguire le istruzioniqui riportate [1].
Tuttoquesto deve essere accompagnato da un attivismo costante: in una parola occorrerompere le scatole ai politici il più possibile e ricordare loro che o siadoperano per il bene comune oppure non saranno più votati, a prescindere dalcolore politico.
Lasituazione delle trivellazioni petrolifere off-shore riguarda l’interoMediterraneo. Oltre all’Italia sono coinvolte molte altre Nazioni chelambiscono le sue sponde (Malta, Tunisia, Libia, Grecia, Cipro, Israele...).Come rispondere alla corsa all’oro nero nel “Mare Nostrum”?
Èun discorso molto importante, che dovrebbe portare ad un rapido accordo ditutte le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo con una politica comune didifesa del mare di fronte a un tale problema. Le basi politiche per poteroperare ci sono già da tempo. Basti pensare alla Convenzione di Barcellona, aiprotocolli sottoscritti da tutti i Paesi Membri, Unione Europea compresa, eall’UNEP-MAP ( Units Nations Environment Program-Mediterranean Plan Action), l’organismo istituito dallaConvenzione sotto l’ombrello della Nazioni Unite per realizzare il “Piano diAzione per la Tutela Ambientale del Mediterraneo”.
L’Italiadovrebbe giocare un ruolo fondamentale in tutto questo. Ad esempio, un buonpunto di partenza sarebbe un accordo con le nazioni dell’ex Yugoslavia pervietare le trivelle in Adriatico. Si potrebbe poi sperare in una azioneallargata che riguardi i paesi di tutto il bacino Mediterraneo. Ma è sempre dalpiccolo che si parte: ad esempio, sono stupita che dopo 20 anni ancora non siriesca a trovare la parola fine per l’instaurazione dell’area marina protettadi Pantelleria. Venti anni sono davvero troppi. Decidersi su quest’areaprotetta sarebbe un ottimo punto di partenza, anche per sensibilizzare icittadini a quanto importante sia la difesa del mare, per poi mirare a cose piùgrandi.
Comevedono negli USA la situazione della corsa all’oro nero nel Mediterraneo?
Nonse ne parla molto perché non ne parla nemmeno più di tanto la stampa italiana
Quandoperò ne parlo ai miei colleghi e amici americani, ad esempio del fatto che sivoglia trivellare a 10 chilometri da Venezia, restano tutti allibiti, e nonriescono a capacitarsi di come una nazione possa essere così cieca da nonvolere proteggere una delle città più belle del mondo. La laguna veneta èfragile ed estrarre petrolio o metano porterà a casi di subsidenza e diabbassamento ulteriore dei fondali marini. E qui negli USA sono ancora piùsconvolti quando spiego loro che fino al 2010 non c’erano regole per ilpetrolio in mare. Ma gli americani sono anche un popolo pratico, e la primacosa che dicono è: cosa posso fare in prima persona per aiutare ? Sarebbe bellose anche in Italia potessimo essere un po’ così, capaci di mostrare solidarietànazionale in un problema che ci accomuna tutti.
“MovingPlanet”, vale a dire “da una smossa al tuo pianeta”... Così è denominatal‘iniziativa promossa dal gruppo “350 org” per il 24 settembre p.v. in tutto ilmondo. Qual è la partecipazione italiana ?
Secondogli scienziati, per avere un pianeta sano occorrerebbe che l’aria cherespiriamo avesse una concentrazione di anidride carbonica non superiore a 350parti per milione (350 ppm). Attualmente siamo a 390 ppm ed bisogna abbassareevidentemente questo valore di circa 40 punti. Diversi anni fa, un gruppo diattivisti da tutto il mondo si è riunito per sensibilizzare i cittadini sulproblema del riscaldamento globale, sulla necessità di ridurre l’uso di fontifossili e in generale di vivere una vita più sostenibile. Il loro nome èproprio “350.org” e periodicamente organizzano eventi e manifestazioni alivello mondiale.
PerSabato 24 settembre 2011 “350.org” ha lanciato l’iniziativa di organizzare intutte le nazioni della Terra eventi legati al tema della sostenibilità. InItalia, a Catania e Siracusa si celebrerà “A day of natural blue sea”, finalizzato allasensibilizzazione contro le trivelle nei mari della Sicilia.
Maaltri eventi ci saranno anche a Milano, Brindisi, Napoli Roma e Pontinia(Latina) per incoraggiare l’uso della bicicletta in città, e altri ancora adAncona e Torino per incentivare il consumo di cibo prodotto localmente.Maggiori informazioni si possono ottenere qui [2].
Perchélei fa tutto questo?
Perchépersonalmente non posso accettare che delle ditte straniere vengano a fare inItalia delle cose che altrove non sarebbe lecito, e ciò a causa,principalmente, dell’ignavia di chi ci governa. E non è solo una questione diambiente, è una questione di giustizia sociale. Chi soffrirà gli effetti delletrivelle selvagge?
Ilcontadino, il pescatore, l’operatore turistico, il cittadino che vive vicinoall’impianto petrolifero, e soprattutto un domani i nostri figli. Non certo ilMinistro Prestigiacomo. No, non lo posso tollerare, perchè non è giusto. Espero veramente che tutti si rendano conto di quanto importante sia ilcoinvolgimento del cittadino medio nelle battaglie alla difesa dei beni comuni,perchè alla fine si vince veramente se siamo tutti informati, intelligenti,attivi e sappiamo cosa vogliamo.
L’Abruzzo,Pantelleria, la Basilicata, il Salento, sono nostri e dovremmo essere noi comecollettività a difendere il nostro vero unico patrimonio con le unghie e con identi, da Nord a Sud, e tutti i santi giorni della nostra vita.