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Tropical Malady

Creato il 17 ottobre 2011 da Eraserhead
Tropical MaladyUna volta terminato, Tropical Malady (2004) lascia senza parole.
Per trovarne un paio ci ho messo qualche giorno, e quel che ne segue è l’inutile risultato.
Lo spettatore che si trova di fronte al cinema di Weerasethakul è né più né meno come il soldato che alla fine del film osserva la maestosa tigre sopra di lui. Sopra.
Questo cinema è sopra, oltre e aldilà di noi occidentali. Guardiamo la tigre con rispetto, con paura, con devozione, e non la capiamo, soprattutto: non la conosciamo. È un mostro? No, è un animale splendido, statuario, imponente, massiccio, e nonostante questo in grado di stare con leggiadria sul sottile tronco di un albero, che strano!, appare pesante ma a conti fatti non lo è, forse è la sua bellezza, forse è lo sguardo rivolto verso chi la guarda che ci fa comprendere, ancora una volta, che non siamo noi a guardare il cinema, ma è lui a guardare noi, e mai come in questo caso gli occhi della tigre superano i bulbi oculari e penetrano dentro, non un dentro qualunque, IL dentro, quello dove riposa lo spirito, o qualcosa che gli va vicino, perché nel vecchio continente di queste cose non siamo molto pratici e allora non possiamo fare altro che subire, non possiamo fare altro che una tigre, che il cinema di un regista dal nome impossibile che fa film altrettanto impossibili, ci attraversi come se fosse un fantasma, e nel successivo momento in cui ci lascia, l’assenza viene compensata dai suoi ricordi.
E questo è un suo ricordo:
MALADY LOVE
La mia casa di legno a due passi dalla giungla. Incontro Keng lì e subito me ne innamoro.
Anzi no, probabilmente lo amavo già da prima, in un’altra vita raccontata altrove, ma oggi, ammesso che il presente abbia un senso, sono qui con lui e insieme siamo felici perché così deve essere. E la felicità nasce nelle piccole cose: mi insegna a guidare un camion così magari troverò un lavoro, sa che musica ascolto e mentre diluvia mi regala una cassetta, vado dal veterinario perché il mio cane, poverino, ha un tumore, ed è con me, non so compilare un modulo e lui mi aiuta, una cantante gli dedica una canzone e io rido, quasi orgoglioso, tanto che timidamente salgo sul palco e inizio a cantare guardandolo, al cinema, poi, siamo vicini e pur senza staccare gli occhi dallo schermo i nostri cuori si uniscono diventando uno solo, allora scrive su un biglietto “mi piaci tantissimo”, gli innamorati non pensano alle conseguenze, agiscono e basta, ed anche un’escursione al tempio, sotto gli occhi delle divinità immortali, riusciamo a sfiorarci come fanno le farfalle quando si rincorrono in volo.
Siamo felici, sono felice! Lo penso andare in moto col sorriso sulle labbra, l’armonia gonfia le nostre orecchie nonostante un tizio venga pestato a sangue sul marciapiede e nonostante il suo lavoro, l’esercito, abbia bisogno di lui.
È tutto perfetto, ma adesso devo tornare da dove vengo, dal cuore della foresta.
Sì, è bello amare. È bello ricordare.
La tigre/cinema è sempre lì, inevitabilmente sopra, e dice che ogni goccia del suo sangue canta la nostra canzone. Una canzone di gioia.
Ed è vero, io umile spettatore ho sentito tutto, e a mia volta, in quelle lucciole di anima dentro l’albero, ho rivisto la mia canzone, mia e di Apichatpong, che fa così:
Mysterious Object at Noon/Blissfully Yours/The Adventure of Iron Pussy/Syndromes and a Century.
É bello rivivere il ricordo, guardando(si).

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