Troppe informazioni e poca comprensione

Da Simonetta Frongia


«A cosa serve avere tanti libri e librerie se poi non basterebbe una vita intera per leggere solo i titoli?»: se lo chiedeva Socrate, che possiamo considerare il primo teorico dell’«overload informativo», ossia l’eccesso di informazioni che affligge i nostri tempi. Anche il matematico e filosofo Leibniz denunciava l’«orribile massa di libri che continua a crescere», mentre Denis Diderot, padre dell’Enciclopedia, scriveva nel 1755: «Con il passare dei secoli, aumenterà il numero di libri, al punto che possiamo prevedere un tempo in cui imparare dai libri sarà difficile come studiare l’universo». 
Il nuovo libro di David Weinberger, Too Big To Know parte da un'intuizione che raccoglie le molte tensioni che si stanno sviluppando nel dibattito intorno alla relazione tra internet e la conoscenza.  Weinberger dimostra che gli approcci ideologici e i preconcetti non ci bastano più, o almeno non dovrebbero: perché se la conoscenza possibile è sempre più grande delle nostre conoscenze effettive il problema è imparare ad allargare il nostro modo per conoscere. E la rete, in questo senso, è uno sviluppo straordinariamente costruttivo. Certamente,  genera il rischio di diventare molto più stupidi, ma offre anche la possibilità di sviluppare pensieri molto più intelligenti. Internet ha in parte e, continua a farlo, modificato non solo i meccanismi e i contenuti del sapere, ma il significato stesso di conoscenza. La rete è ovviamente centrale in quello che sta succedendo. Perché la conoscenza non è la somma dei libri che l'umanità ha prodotto e neppure la somma di tutti i testi di ogni genere, non è quello che sta nel nostro cervello e nell'insieme di tutti i cervelli umani: è un insieme ancora più grande che contiene anche le relazioni tra i cervelli, i mezzi che usano per espandere le loro capacità, le dinamiche che generano nuovi pensieri e ricordano quelli già pensati... Un insieme troppo grande per conoscerlo. La rete ha qualcosa a che fare con tutto questo. Anche se va compresa.

Con la diffusione di massa dei personal computer è tramontata l’idea classica di sapere.
Weinberger dichiara il suo debito con il sociologo Marshall McLuhan: «Trasformare il mezzo attraverso il quale si sviluppa, conserva e comunica conoscenza — scrive — significa trasformare la conoscenza». Così, il celebre slogan «il mezzo è il messaggio», ritorna di profonda attualità.
«Ogni blogger è un medium e ogni lettore è un editor», scriveWeinberger, che mostra come lo spettatore di una partita di calcio, grazie alla tecnologia, sia oggi in grado di vedere i replay in tempo reale e valutare errori e mosse vincenti sulle chat live prima dell’arbitro. Allo stesso modo le notizie che circolano sui social network troveranno centinaia di persone pronte a correggerle, contestarle, arricchirle.
La vecchia cultura del «bisogno di sapere» deve oggi fare i conti con il «bisogno di condividere».
Ma qual è il risultato?   Secondo Weinberger la conoscenza 2.0 ha alcune caratteristiche : 
  • é vasta, data la quantità abnorme di informazioni in circolo;
  • é senza argini: il web a differenza di una pagina non ha confini; 
  • é populista perché terreno fertile per propaganda;
  • é instabile perché il nuovo sapere non è frutto di un accordo tra gli esperti ma nasce  dal disaccordo di chi partecipa alla discussione.

Secondo lo studioso americano sono le basi della conoscenza ad essere cambiate: i fatti.  «Prima dell’Illuminismo il termine “fatto” aveva il significato di cattiva azione: un omicidio era un fatto, non le Piramidi in Egitto».
L’Illuminismo ne rivoluziona il significato restituendo al fatto la natura di fenomeno: è ciò che appare. «I fatti sono costituiti da particolari, non da universali — si legge in Too big to know — ma i nostri antenati disdegnavano il particolare in quanto oggetto della percezione sensoriale, un aspetto che ci accomuna agli animali». Il metodo scientifico prima e la scoperta della statistica poi daranno alla nozione di fatto un significato opposto: quello che si può vedere, dimostrare, contare. Gli uomini sviluppano così un metodo di gestione della conoscenza che porteranno avanti fino alla nascita di Internet: la sottrazione. L’unico modo per orientarsi nel caos dei fenomeni è ridurli, affidando la selezione agli esperti che li scarteranno, analizzeranno e infine decideranno quali di essi possono essere offerti al pubblico.
Ma entra in scena il Web sociale, che ribalta la struttura: i fatti non sono più «unità isolate di conoscenza» ma parte di un network, «ed esistono grazie alla possibilità che hanno gli utenti di condividerli».
Il network è principio primo della nuova conoscenza e i fatti sono «condivisi» perché è l’infrastruttura stessa della conoscenza che lo richiede. Weinberger spiega: «Da quando la conoscenza è diventata un network, la persona più intelligente all’interno di una stanza non è quella che pontifica in piedi davanti a noi, né tanto meno l’intelligenza collettiva della stanza: la persona più intelligente della stanza è la stanza in sé; il network che connette persone e idee in quello spazio e le proietta all’esterno». Per il filosofo ne deriva un sapere «meno certo ma più umano, meno definito ma più trasparente, meno attendibile ma più inclusivo, meno solido ma più ricco».
È in atto una crisi del sapere che è, allo stesso tempo, esaltazione del sapere: mai c’è stata tanta informazione nel mondo accompagnata, per la prima volta, da un contenitore adatto ad accoglierla. Come gestire la nuova era? Il ricercatore di Harvard intravede due scenari: da un lato la Rete come contenitore di gossip, bugie, rancori e propaganda, capace di rendere più stupidi gli utenti. Il trionfo del «lato oscuro» di Internet. L’alternativa è lavorare per costruire una «stanza» migliore.
È stato Clay Shirky a sostenere che la questione non riguarda «il sovraccarico di informazione ma il fallimento del filtro». Ed è qui che la teoria di Weinberger si fa più interessante. Il filosofo spiega che i filtri utilizzati per scremare la quantità di informazioni online hanno seguito fino a oggi due strade: l’aritmetica e il «sociale».
Da un lato algoritmi e formule che permettono a Google di indicizzare i risultati di una ricerca, di correggere in automatico gli errori di un testo o ancora di parlare via Skype con amici lontani. Dall’altra i consigli dei nostri amici sui social network (pensiamo agli «I like» di Facebook), ovvero la selezione operata dai «personal opinion leader» in base a gusti e preferenze.
Nel primo caso i rischi sono quelli di un sistema che indicizza le informazioni in modo che vadano a consolidare i nostri stereotipi, in cui la personalizzazione della ricerca porta gli utenti in un universo coerente, dove anche un neonazista o un cannibale troveranno online conferme delle loro teorie e della bontà delle loro pratiche.
Se ci affidiamo invece a un filtro «sociale» sarà il conformismo degli amici a prevalere e lo farà ad uso e consumo del marketing. I filtri sono contenuto. Lavorare per migliorare i meccanismi di selezione della notizia, è fondamentale per migliorare la produzione informativa.
Secondo Weinberger per risolvere il problema dell’overload informativo non bisogna ridurre le informazioni ma aumentarle. Il filosofo è convinto che la strada provata dalle istituzioni del sapere — dai governi ai giornali — di utilizzare la segretezza o il filtro del pagamento per gestire le informazioni sia sbagliata: un tentativo inutile di fermare il flusso della storia. La soluzione di Weinberger si chiama «metadata». Nell’architettura del nuovo sapere l’utente diventa esperto e, analogamente, rende esperto chi legge, quando è capace di fornire le informazioni, i dati, i diversi punti di vista che hanno reso possibile la costruzione della notizia. Un articolo pieno di link che rimandano alle fonti e di contributi audio-video è un modo per migliorare il sapere. Permettere che circoli in maniera pubblica e gratuita insieme a quello prodotto da fonti autorevoli (centri di ricerca, giornali, istituzioni) è la maniera per infondere le qualità del vecchio modo di produrre sapere nel nuovo. E accettare una volta per tutte che non è la sintonia il principio della conoscenza ma la dialettica. Anche stavolta Socrate c’era già arrivato: è nelle differenze, e nel dibattuto maieutico tra le idee che germina il sapere.

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Dal punto di vista "pedagogico" il tema della conoscenza è molto importante ma si lega indissolubilmente alla capacità di imparare a gestire la mole crescente di contenuti,e congiuntamente sviluppare la capacità di accedere alle fonti giuste e scovare le informazioni pertinenti, facendolo velocemente perché la società moderna continua ad accelerare i suoi ritmi ed il tempo diventa una risorsa sempre più scarsa e preziosa, le notizie invecchiano ad una velocità crescente e ciò che è attuale oggi non lo é domani. Quindi la vera sfida non é più nel trovare le migliori informazioni/conoscenze ma nell’essere più efficienti ed efficaci nel sapere come e dove procurarsi l’informazione. Inoltre è fondamentale riuscire a disvincolarsi in questo mare di informazioni poichè sono troppe, spesso false, costruite, manipolate, modificate. La vera sfida, a mio parere, non è immettere in rete maggiori informazioni, poiché c'è ne sono anche troppe, ma migliori "qualitativamente" parlando. In parte l'informazione partecipata é un fallimento perché in molti non fanno che prendere notizie e copiarle, criticarle, divulgarle senza aver avuto accesso alla fonte o più fonti, spesso questa è una informazione puramente autoreferenziale, dove l'I like, non è sinonimo di qualità ma di popolarità. La vera sfida nel mondo di oggi é quella di acquisire le competenze per poter scegliere le notizie buone o utili da quelle inutili, discernere il gossip dall'informazione, ciò che fa conoscenza da ciò che fa solo "audience". Paradossalmente abbiamo più informazioni ma queste sono sempre meno critiche e, sempre più manipolate anche dal basso. In rete circolano molti vecchi e nuovi stereotipi e false informazioni. La vera sfida è quella di esercitare il nostro senso critico, imparare a disimparare ciò che non è utile, e trovare come nella maieutica socratica a discernere tra un metodo buono da uno cattivo.La sfida é quella di non appiattirci e usare quel minimo di intelligenza, se la possediamo, in modo autonomo e vigile, sempre. http://lettura.corriere.it/sappiamo-tutto-capiamo-poco/#comments

http://pedagogikapress.blogspot.com/2010/03/conoscenza-senza-limiti-e-nuovi-ambiti.html  http://blog.debiase.com/2012/01/libri---too-big-to-know---davi.htmlhttp://www.thedaily.com/page/2012/01/01/010112-opinions-books-weinberger-morozov-1-3/http://thefrailestthing.com/2012/01/04/now-we-have-clouds/http://www.guardian.co.uk/books/2012/jan/20/etcetera-nonfiction-roundup-reviews

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