Il filler è l’episodio di una serie tv che non aggiunge nulla di rilevante alla storia. Sono in pratica quaranta minuti volontariamente sprecati a raccontare (o approfondire) una trama che sostanzialmente non frega una mazza a nessuno. Di filler ne è pieno il mondo dei Serial Tv, da Lost a Dexter, e ancora resistono al tempo pur essendo una delle cause principali del declino di una serie. Quando non si ha nulla da dire, o quel poco di materiale a disposizione ricoprirebbe l’arco narrativo di una o due puntate, si ricorre a una noiosissima spalmata degli eventi su cinque, sei, sette puntate. Il risultato è un vuoto cosmico che ci fa odiare quello che stiamo guardando e stimola al chiudere per sempre i conti con una serie che si percepisce come “una grande presa per il culo”. The Walking Dead sembra oramai non rinunciarci e proseguire nel suo inesorabile declino fatto di momenti morti e puntate “a vuoto”. La 4×13, la 4×12, la 4×5 e via dicendo sono tutte le puntate della quarta stagione arrivata a un colossale capolinea. Tutta la stagione non sembra avere senso, con i protagonisti che gironzolano nei boschi senza uno scopo se non quello di convergere tutti verso un unico punto di ritrovo: Terminus. Manca una manciata di episodi al finale e il bilancio della serie sembra sempre più impietoso del dovuto. I primi nove episodi sono stati sprecati nel raccontare le difficoltà di sopravvivenza all’interno del carcere, con una misteriosa epidemia che ha lasciato impegnati Rick e gli altri per vari episodi. Tanti discorsi, poca azione e un’assenza di scopo che fiacca il racconto rendendolo ripetitivo. Un arco narrativo incentrato sul Governatore ci ha allontanato dalle vicende del carcere per tre puntate, fino al delirante epilogo ove il collo di Herschel ha incontrato la lama affilata di Michonne per la prima e ultima volta. Dopo il finale di middle-season la speranza era quella di assistere finalmente a una rinascita dello show. Lontani dal carcere, divisi nella boscaglia e allo scoperto tra i pericoli, i protagonisti stanno cercando di guadagnarsi un posto sicuro nel mondo non rinunciando a ricostituire le vecchie alleanze. Si cercano, lasciando messaggi sui muri al loro passaggio e seguendo dei vecchi binari abbandonati con la speranza di raggiungere il fantomatico luogo di raccolta.
E lo show ne approfitta, costruendo episodi che si concentrano di volta in volta sulle avventure dei singoli gruppi per prendere tempo. Il senso generale è che tutto ciò che ci viene mostrato è brodo allungato, con sporadici attacchi di zombie che dovrebbero aiutarci a ricordare che stiamo sempre seguendo The Walking Dead e non Revolution. Il tempo e il successo della saga ha imbastardito la storia, arricchendola di contenuti che nella prima stagione erano del tutto assenti. Lo spazio dedicato alla problematica dell’infezione e alla comprensione di cosa è accaduto alla restante popolazione mondiale ha lasciato spazio alle dinamiche amorose e le sporadiche morti di qualche protagonista storico, tanto per fare un po di clamore e risollevare l’audiance. Di episodio in episodio ci si rende facilmente conto che dietro la macchina produttiva ci sono due scimmie ammaestrate che buttano giu battute a casaccio credendo di fare chissà quale lavoro per una serie tv che tanto ormai procede col pilota automatico. Non a caso, giusto per impepare un po la situazione, si sta preparando il terreno per l’ennesima improbabile storia d’amore tra Daryl e Beth. Sentiamo tutti la mancanza dell’ideatore storico Frank Derabont, uno che la serie l’ha ideata, scritta e diretta fino al suo inaspettato allontanamento per “divergenze creative con la produzione”. E’ suo il merito di aver costruito le prime sei gloriose puntate, rischiosissime, senza filler e da pelle d’oca. Un approccio diverso che ha lasciato spazio alle consuete americanate per far cassa e stirare la storia almeno fino alla settima stagione. Questa serie puzza sempre più di morto, o meglio di zombie.