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Troppo vicini

Creato il 10 agosto 2013 da Casarrubea
La-Follia- Foto di Paolo Tarenghi (www.fotocommunity.it)

La-Follia- Foto di Paolo Tarenghi (www.fotocommunity.it)

“Simu arraxati di fora di nostra menti” (Poesie, 1354)

in A.Varvaro, Vocabolario etimologico siciliano, 1986

Arrassari è in siciliano un infinito. Significa tenere lontano, cioè arrassu. L’etimologia della parola è sconosciuta, ma io ho il sospetto che abbia a che fare con ras, che nella lingua siciliana sta a significare capo. Tanto che i marinai che andavano a caccia di tonni avevano bisogno di un capo per catturare questi poveri pesci con le loro fiocine, dopo averli radunati tutti in un punto. Il compito del ras era insostituibile. Era lui che avvertiva l’approssimarsi dei tonni e ordinava alla ciurma il via libera alla mattanza.

Per fortuna la storia talvolta migliora le cose e anche se ci sono rimaste in posti incantevoli delle belle tonnare baronali, per fortuna è scomparsa quasi del tutto la memoria delle mattanze.

Ma nei fatti della vita di tutti i giorni le cose vanno diversamente.  E’ difficile mantenere le distanze. Appena esci di casa, già sei un soggetto a rischio, immerso in una ragnatela di ‘vicinanze’ pericolose. Se hai pestato i piedi a qualcuno, il tuo rischio è che come minimo qualcuno ti guardi in cagnesco. Se non hai pestato i piedi a nessuno corri ugualmente il rischio che qualcuno ti faccia sentire il valore della distanza tra le persone, specie quando queste la pensano in modi diversi o hanno diversi modelli culturali. Non attaccare bottone è perciò in Sicilia la principale regola di chiunque esce semplicemente di casa o da un albergo.

L’arte di mantenere la distanza giusta dagli altri è la principale tecnica della sopravvivenza. Altrimenti non te la cavi, fai bile, e qualche circostanza ti provocherà un malanno. Perché il fatto è che anche se tu non farai nulla per molestare il prossimo, la percentuale che sia proprio quest’ultimo a molestarti è molto alta. Specialmente d’estate quando in Sicilia il sole dà alla testa e si sviluppa la guerra dell’immondizia, che va dall’accumulazione a montagnole per le strade, agli incendi dei cassonetti. Ma soprattutto dall’anonimo deposito dei sacchetti di fronte all’ingresso delle case altrui, agli spazzini che pare siano scomparsi dalla circolazione, volatilizzandosi. E’ una guerra dichiarata, con tanto di additamento e di stigmatizzazione, da ignoti inquilini  o vicini di casa e di quartiere, che, essendo civili ed educati, fanno questo grazioso gesto guadagnandosi il giudizio di essere persone pulite e responsabili.

Nel mantenimento di questo compito civico, si registra anche una certa divisione dei ruoli. Le massaie già di buonora lavano stanze e davanzali inondandoli di acqua. Una sorta di purificazione delle sacre stanze dalle naturali e sacrileghe evaporazioni notturne. I loro mariti, invece, non usano le scope, né tanto meno l’acqua, per non violare il genere dei due sacri oggetti del rituale mattutino. Il loro compito è maschile, compatibile con azioni come il trasporto, il caricamento, il deposito, dei loro rifiuti domestici con annesso eventuale diverbio con qualcuno.

Bisogna fare l’esperienza di una certa vicinanza per capire la sgradevole sottocultura della primordialità.  Del tempo in cui l’uomo non era ancora civilizzato e dominava sul suo territorio esercitando il suo potere animale. A pensarci bene questo potere è semplicemente arroganza di sentirsi al centro dell’universo e nel diritto di prevalere sugli altri, di dettare legge, di affermarsi anche a costo di calpestare i diritti altrui. I più elementari come, ad esempio, dormire, mangiare, lavorare e via dicendo.  Le prerogative che abbiamo di non essere invasi o soverchiati ma rispettati persino nella nostra privacy, sono irrinunciabili, anche se non vengono percepite nella consapevolezza comune e non esistono nell’agire quotidiano. Almeno nella coscienza collettiva del siciliano medio. Tanto che  potreste fare l’esperienza di notare  la sbalordita sorpresa che uno sconosciuto o qualcuno possa comportarsi come se fosse un suo diritto ottenere quello che gli passa per la testa, incurante del rispetto dei diritti altrui. Perciò mai essere troppo vicini perché mantenere le distanze giuste fa sempre bene. Si può essere vicini appartenendo a Paesi i più diversi, e si può essere lontanissimi pur abitando accanto a qualcuno che alla prima occasione ti tira una fucilata alle spalle.

La casistica è infinita. C’è il tizio neoarricchito, con orecchino e Mercedes che ti attraversa la strada, al quale se tu fai presente che ti è passato con una ruota della macchina su un piede, non chiede scusa, ma ti urla candidamente: – ma non ha visto che stavo passando? –  Perché il tizio che sputa dal dente si sente al di sopra del senso di rispetto e dell’errore o della  legge, non ha senso civico, o capacità di discernimento. Non perché porta l’orecchino, ma perché il piccolo vezzo gli serve per distinguersi dagli altri e per annunciare, allo stesso tempo, la sua malandrineria, il nuovo stile di quelli che delle regole si puliscono ogni giorno il sedere.

 Capisco che voleva dire Peppino Impastato quando definiva la mafia una montagna di merda. Voleva dire che essa è per certi individui un processo di autoaccumulazione. Il suo concetto era questo. Giorno dopo giorno il mafioso accumula sempre di più il suo essere un danno collettivo, esercita il suo strapotere sugli altri, per fagocitarli, mangiarli, neutralizzarli, fino al loro totale dominio. E non è che ciò avvenga con un qualche contrasto da parte dello Stato. Al Contrario. Avviene con il consenso inerte e la compiacenza dello Stato, delle cosiddette forze dell’ordine che sanno e dicono di non potere agire. Che sono impossibilitate ad agire.

Esempio. Il tizio, all’inizio delle sue imprese, acquista un terreno agricolo, di poco più di un tumulo di terra (1500-2000 mq). Non lo adibisce per questo uso. Traccia a modo suo la linea di confine con la proprietà più vicina e senza preavvisare nessuno costruisce la delimitazione tra la sua proprietà e quella del vicino, ricorrendo a un robusto muretto di cemento armato. Pensi che nel suo terreno ci terrà dei cavalli. E di fatti non potendo adibirlo ad attività agricole che disprezza, e non gli darebbero un euro di reddito, ci tiene dei cavalli e senza tenere conto degli indici di edificabilità previsti dalla legge, che dalle nostre parti sono pari allo 0,03%, costruisce una villetta per la sua famiglia e una scuderia per i cavalli. Poi il signore con orecchino e Mercedes, pensa che accanto alla sua villetta può costruire una piscina e un prato inglese. E’ subito fatto.

Poi ecco la strada maestra che apre al malandrino la strada del mafioso: i rapporti con il potere politico. Così il signore con l’orecchino comincia a sputare dai denti perché il politico gli mette una singolare eccitazione e gli fa ritenere di essere dalla parte della legge. Difatti trova pure qualcuno che lo aiuta ad avere l’autorizzazione a costruire un “impianto produttivo”. Risultato: due appartamenti da destinare a villeggianti. Questa l’attività primaria del mafioso. Quella secondaria è derivata, conseguente. Tutta a danno del vicino: la discarica dove spesso si brucia ogni specie di rifiuto, la fossa biologica e quant’altro.

Morale della favola. Occorre stare lontani, arrassu, da certe persone, ma quando questo non ti è possibile, annota e documenta tutto, nei minimi particolari, e come se il mezzo in cui stai viaggiando non ti appartenga, fai in modo che tutto rimanga quando sarai arrivato a destinazione. Anzi, prima ancora che ciò accada.

Giuseppe Casarrubea


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