La fede in una seconda giornata di pesca vacilla un istante quando, sorseggiando la ciotola colma di caffè della moka, vedo fuori dalla finestra una luce spettrale. Il chiarore tenue che illumina i pini oltre il vetro, sembra provenire solo dai graffi grigi disegnati nell’aria delle gocce di pioggia. Si sta bene appollaiati sullo sgabello in cucina, con le chiacchiere della mamma in vestaglia e il profumo del caffè nelle narici. In sottofondo un sordo brontolio mi dice che la caldaia sta scaldando la casa. Deve far freddo fuori e i rami che si agitano freneticamente non si stanno solo scrollando l’acqua di dosso, sono schiaffeggiati da raffiche di vento.
Domani è Pasqua e ho promesso di stare in famiglia. In fondo la decisione l’ho già presa ieri sera quando ho preparato la borsa e messo ad asciugare i waders vicino al calorifero. Mi vesto indossando già scarponcini, waders, softshell di neoprene e giacca impermeabile; così bardato indugio ancora un po’ in cucina sotto lo sguardo perplesso e benevolente di mia madre, ormai rassegnata ad accettare questa malattia propria dei maschi di famiglia. Ok, l’alba è passata da ore, il momento è giunto: salgo in macchina, aziono il tergicristalli e giro la chiave: vado in montagna!
La risposta non tarda ad arrivare… no! Pesco un’ora esatta una lunga lama e la sua testa, alterno esche diverse tra loro per luce, dimensione e nuoto: non vedo una coda. Il vento gelido e la pioggia battente sulla testa mi spingono a provare una nuova brillante tecnica di cui le riviste di settore non hanno ancora parlato: il “heavy baretting”. Il Baretting si fa con un’azione di pesca “Fast” alternata a delle lunghe pause al Bar. Queste pause sono estremamente redditizie nelle giornate uggiose e fredde e capita spesso di prendere anche due o tre caffé corretti o, quando ormai si ha una certa esperienza, anche latte caldo miele e cognac o delle notevoli cioccolate con panna. Non sottovalutate l’importanza di variare le zone della valle che state esplorando e provare tanti Bar diversi, solo così potrete chiacchierare con molte persone diverse e saggiare la bontà del ristoro offerto.
Seguendo i dettami di questa disciplina da me scoperta, tra le 11 e le 12 siedo al tavolo del Bar della Stazione di Varallo con una compagnia di altissimo livello: il presidente-maestro Savio, l’uomo-valsesiana Andrea Scalvini, il consigliere veterano Renzo Bortolazzo e la furia-moschista Massimo Furian. Ovvero siamo 5 amici, 5 consiglieri dell’SVPS, la Società Valsesiana Pescatori Sportivi. Tutti sono concordi su una cosa: oggi è una giornata da stare a casa, non da pescare! <Troppo freddo!> Sentenzia la tavolata. E su questa lapidaria affermazione il gatto e la volpe, Furian e Renzo, mi tentano con una gita al paese dei balocchi… ovvero andare direttamente dal caffè ad una trattoria vuncia d’alta valle a mangiare e bere a sazietà. Perbacco, l’indomita fiamma d’ardore alieutico dell’Anonima Cucchiaino non si spegne per due gocce d’acqua (tanta acqua) e un soffio di vento (tanto vento)! Mi congedo e in breve sono sul fiume. Pesco come piace a me quando sono in solitaria: indugio a lungo dove ci credo molto, volo sulla sponda quasi correndo, nei tratti dove non sono ispirato, facendo solo sporadici lanci.
Memore dei ragionamenti di ieri (vedi report prima parte! N.d.R) sull’opportunità o meno di avere un’attrezzatura pesante, decido di divertirmi un po’ e scendere di peso: lascio in macchina la mia fedele canna, la Bangher Rod 9′ 2oz con Twin Power 4000 bobinato a 30 libbre, e armo una Biomaster 210cm 15-40gr con Stella 4000 bobinato a treccia 0,15mm con finale nylon 0,28. Insomma non leggero, ma decisamente più “morbido”.
All’una ho già fatto circa un chilometro di fiume e non ho visto un pesce, l’illusione che fosse Primavera è svanita in meno di 24 ore, dove sono i vaironi? Le trotelle aggressive? Gli avannotti tra i sassi? Oggi è inverno, sembrano i giorni dopo l’Apertura. Mi adeguo… pesco lento e profondo e cerco di stimolare la reazione delle grandi.
Davanti a me una grande roccia liscia si perde in un’ansa profonda e quieta del fiume. Il Taildancer rasenta la roccia tre o quattro metri davanti a me. Avviene il miracolo: da una crepa della roccia, dove non si vedeva assolutamente nessuna traccia di pesce, si stacca velocissimo un missile grigio che manca clamorosamente l’esca jerkata. Ho visto la scena… arresto il recupero. Stop. La trota rapidamente si torce su se stessa in una “U” e punta di nuovo l’esca: do un colpo di cimino in avanti e la sagoma grigia scatta! Bam! Afferra e gira la testa, ferro, c’è!
La 210 è nervosetta, si flette certamente più della bangher e la frizione stellata accenna un canto strozzato, ma la trota è domata in pochissimo tempo. Eccola nel guadino! È una marmorata purissima con tanto di bande di mimetizzazione. È magra e bellissima.
“Baretting” funziona: tempo di andare a magnare! Mentre mangio, allagando la trattoria con i vestiti grondanti, mi godo la soddisfazione di mandare la foto ai soci di pesca che mi avevano scherzato! Due chiacchiere col Savio, caffè, creme caramel… via! Di nuovo al fiume. Almeno adesso piove meno. Il fiume si è alzato leggermente, ma poco. Non c’è nessuno, oggi non si vede anima viva sulle sponde: il fiume è mio! Penso che i saggi pescatori avessero ragione: oggi non è una buona giornata per pescare. Penso però che ci sia un’altra verità più grande: prendi più pesci se sei a pescare che se non stai pescando. (Anonima Cucchiaino Dixit). Inoltre il fattore “essere l’unico sul fiume” è sempre un grande vantaggio.
Molti lanci dopo e dopo alcune altre pause, sono le 18.00 e sono in uno splendido tratto di Sesia, dove una buca profonda si distende in una lama d’acqua bassa e veloce che a sua volta si raccoglie come collo di bottiglia in un salto stretto e spumeggiante. Al di là della spina centrale di corrente, dove l’acqua schiuma bianca, la sponda protende frasche di vegetazione sull’acqua e dietro i sassi più grandi si crea un rimollo d’acqua calma.
Tento il lancio ed il mio crank cade esattamente sotto le frasche, al di là della forte corrente, in testa al rigiro calmo. Quest’esca che mi ha fatto Gianluca mi da molta fiducia: colori fario ma con flash argentati sul fianco, dimensioni contenute (9cm) ma muove molta acqua con la sua forma panciuta… Tre giri di manovella ed una splendida abboccata strizza le mie ghiandole endocrine surrenali buttando in circolo una cascata di adrenalina! La trota ovviamente si lancia nella schiuma e trattenerla è uguale a perderla, con l’indice della mano sinistra tolgo il freno al mulinello e, mantenendo comunque la tensione, inizio a “recuperare al contrario”… le lascio filo sentendo in canna la sua lotta in corrente. Velocemente mi muovo nell’acqua cercando di non dare troppe culate ai sassi, canna alta, inizia l’inseguimento: chiudo il freno, accelero il recupero e le corro dietro sulla sponda, la supero, abbatto la canna verso riva e lascio che si accomodi nel guadino. È un bellissimo ibrido marmorata-fario. È più piccola di quanto pensassi sentendola in canna. Fiatone, foto, libera.
Che giornata! Su trote selvatiche non capita spesso di passare il metro con due trote in un giorno.
Alle 19.30 devo partire, ho una cena… però c’è un ultimo posto dove vorrei andare, forse qui potrei guadare… Il fiume decide per me, mi offre una nuotata nelle sue gelide acque ed è meglio andare a casa! Ma questa è un’altra storia di cui vi parlerò un altro giorno…
Questa giornata è una grande vigilia pasquale, queste due trote forse non sono enormi, ma non le dimenticherò!
Rock’n'Rod