Quante volte ci siamo indignati per graffiti incisi un po’ dappertutto! Deturpano panchine, muri, abitacoli degli autobus, purtroppo anche molti monumenti. La maggioranza di queste incisioni è formata da frasi scurrili o banali, da firme e dai soliti cuori trafitti. Sebbene siano un fenomeno che di solito si collega a questa nostra epoca corrotta in cui molti parlano senza avere alcunché da dire e scrivono per semplice grafomania, tali epigrafi triviali esistevano anche nella Roma antica: a Pompei si possono ancor oggi leggere graffiti con vituperi, dichiarazioni d’amore, battute salaci… Anche nelle prigioni medievali e moderne, i carcerati testimoniavano e testimoniano la loro sofferenza piena di dignità con scritte sulle pareti. Ciò attesta l’inclinazione umana a lasciare comunque una traccia, anche quando a graffiare le più disparate superfici sono uomini qualunque. E’ un modo inconscio per tentare di divenire eterni, poiché sappiamo che gli oggetti e persino queste sigle e locuzioni, ora licenziose ora egocentriche, dureranno più di noi, ombre fuggevoli in un mondo estraneo.
E’ raro, ma ci si può imbattere in qualche riflessione di un certo spessore, in un aforisma di un autore importante. Ecco che allora il graffito assurge a muta testimonianza di vita, a vestigio di un’esistenza dilaniata fra sogni e disincanti, a truciolo di cultura.
Forse le “impronte” più significative che si rintracciano sono quelle sulle pagine dei volumi presi in prestito in biblioteca o di libri usati: sul margine notiamo glosse ispirate dai contenuti del testo, entusiastiche sottolineature, acute osservazioni, punti esclamativi ed interrogativi… In questo repertorio di postille e di segni si manifesta e si agita il mondo interiore di chi ha letto il romanzo, immergendosi toto corde nella storia, di chi ha meditato il saggio, in cerca delle risposte agli interrogativi che risposte non hanno.
In qualche caso eccezionale rincorrere e percorrere i meandri delle elucubrazioni cristallizzati nelle note vergate con un timido lapis o un’energica penna, è più avventuroso che la lettura del libro: si scoprono frammenti di esperienze, prospettive sugli spaventevoli precipizi del pensiero, errori epifanici...
Di recente, mentre ero sprofondato nella lettura di un libro usato (una biografia), ho notato che chi mi ha venduto il tomo ha erroneamente corretto, pensando fosse un refuso, la dicitura “mera illusione” in “vera illusione”. E’ difficile trovare un abbaglio più abbagliante: l’involontario ossimoro, con tutta la forza del paradosso e dell’antinomia, squaderna l’aspetto saliente della realtà, un’illusione concreta, una mera e… vera illusione.
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APOCALISSI ALIENE: il libro