Il giorno dopo la vittoria di Tsipras e la sua immediata alleanza con una formazione genericamente anti casta, ma di natura liberista, le sinistre dure e pure cominciano ad avere dubbi su ciò che intende fare il leader di Syriza e a domandarsi se per caso egli non sia in realtà un alleato della governance europea. Dal momento che per più di un anno mi sono fatto dei nemici denunciando l’insufficienza e l’ambiguità delle tesi “altroeuropeiste” di Tsipras tese a vagheggiare un’uscita dall’austerità senza tuttavia cambiare gli strumenti monetari e istituzionali che la rendono di fatto una strada obbligata, credo di potermi permettere di considerare altrettanto povere queste reazioni le quali non tengono conto di ciò che è realmente accaduto, ovvero che per la prima volta dal manifestarsi conclamato di una crisi di sistema un elettorato ha detto di no alla narrazione politico economica diffusa a piene mani, decretando la vittoria del principio di realtà.
Certo, come ho già detto infinite volte, un tradimento di Tsipras sarebbe un colpo per l’intera sinistra europea, evidentemente incapace di fornire una visione credibile e allo stesso tempo realmente alternativa delle cose. Speriamo che il leader di Syriza abbia un piano B e il coraggio di mettere in gioco tutto, senza fermarsi alla mediazione da posizioni subalterne o limitarsi a strappare qualche elemosina. Ma questo lo vedremo e molto presto. Oggi vorrei limitarmi ad osservare come i tabù che il leader greco dovrebbe affrontare siano in realtà molto meno forti di prima. Anzi la stessa Bce giovedì scorso ha posto le basi per una rinazionalizzazione delle economie europee. Il quantitative esasing varato a Francoforte infatti – oltre ad essere del tutto inutile – ha come presupposto che siano le banche centrali di ciascun Paese a dover garantire l’ 80% dei titoli sovrani comprati dalla Bce sul mercato secondario. Questo significa che non si vuole condividere nemmeno più il rischio: che caspita di unione è? Finora la Bce aveva sempre osservato il principio della condivisione dei rischi, sia pure in base alla quota capitale dei Paesi membri, ma ora evidentemente sta aggredendo le radici stesse su cui si fonda la moneta unica.
Il segnale è chiaro: oltre a prendere decisioni molto tardive e del tutto insufficienti, il “salvatore” Mario Draghi che probabilmente si appresta a un trasloco al Quirinale, ha posto le basi per la disunione monetaria, ovvero la progressiva separazione del rischio debito. Evidentemente la fede nell’euro si sta dissolvendo e la moneta unica, dopo essere stata lo strumento principe in tutti i Paesi dell’Unione per radere al suolo il welfare e indurre una catastrofica riduzione di occupazione e salari, per imporre le tesi del pensiero unico, è ora pronta per la soffitta o un ruolo di fantasma. E’ davvero paradossale che siano proprio le sinistre continentali a rischiare il suicidio per mantenere uno strumento usato come una spada dagli avversari e che probabilmente, dopo il massacro sociale e l’instaurazione di sistemi oligarchici per gestire il dopo con criteri di destra, verrà riposta nel fodero. Tsipras ha almeno il dovere di non essere più timido della Bce.