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Tu non sei un gadget

Da Pinobruno

Ripensare la rete, l’architettura del software, la dittatura dei protocolli. Qualcuno, come Jaron Lanier (nel suo libro “Tu non sei un gadget” (Mondadori, 2010), invita a far di tutto per impedire che la tecnologia plasmi le nostre vite, a contrastare la convinzione che i computer siano in grado di rappresentare il pensiero umano o i rapporti tra le persone. Jaron Lanier è uno dei pionieri del mondo digitale. Ecco perché il suo libro è intrigante. Invita a una riflessione non accademica, dall’interno della community che ha contribuito alla rivoluzione dei bit. Non tutto è da condividere, ma gli spunti e i suggerimenti per evitare una pericolosa deriva social-informatica ci sono tutti.

Tu non sei un gadget

Il penultimo numero di Internazionale (n° 873 anno 18) ospita la traduzione italiana di un articolo di Zadie Smith per The New York Review of Books. La scrittrice definisce il libro di Lanier “bello e terrificante”. “Lanier s’interessa al modo in cui le persone “si riducono” in modo da far apparire la loro descrizione virtuale il più accurata possibile. “I sistemi informativi “, scrive, “hanno bisogno di informazione per funzionare, ma le informazioni sottorappresentano la realtà”.

Secondo Lanier, non esiste nessun equivalente virtuale perfetto di quello che chiamiamo “persona”. Nella vita reale tutti noi sosteniamo di saperlo, ma quando siamo online è facile dimenticarsene. Su Facebook, come su altri social network online, la vita è trasformata in un database, e questo svilimento, spiega Lanier, si fonda su un errore filosofico: “ La convinzione che i computer siano in grado di rappresentare il pensiero umano o i rapporti tra le persone.

Tu non sei un gadget

Jaron Lanier

Ma queste cose i computer non sanno farle”, almeno per ora. E noi ne conosciamo istintivamente le conseguenze; le sentiamo. Sappiamo che avere duemila amici su Facebook non è quello che sembra. Sappiamo che stiamo usando il software per comportarci in un modo specifico e superficiale con gli altri. Ma conosciamo anche l’impatto del software su di noi, ne siamo consapevoli? È possibile che “quello che le persone si comunicano diventi la loro verità”?

Quello che Lanier (esperto di software) ha fatto capire a me (profana di software) è una cosa ovvia (per gli esperti): i software non sono neutri.

Un certo software diffonde una certa filosofia e queste filosofie, diventando onnipresenti, diventano invisibili.

Tu non sei un gadget

Zadie Smith

Lanier ci invita per esempio a considerare l’umile file, anzi, ci invita a immaginare un mondo senza file (“La prima versione del Macintosh, che non arrivò mai sul mercato, non aveva file“). Confesso che questo esperimento mentale mi ha messo in difficoltà più o meno come se mi avessero chiesto di immaginare un mondo senza “tempo”. Considerate che spesso i software vengono adottati da milioni di persone e da altri software, e a quel punto diventa troppo difficile adattarli o cambiarli. Sono intrappolati in quello che Lanier chiama lock in.

Midi, un rigido protocollo digitale nato nei primi anni ottanta, che permette di far interagire vari dispositivi elettronici musicali (per esempio una tastiera e un computer), non tiene minimamente conto di cose come la fluidità del vocalizzo di un soprano. Ed è ancora alla base di gran parte della musica asettica che sentiamo ogni giorno – dai nostri cellulari, alla radio, negli ascensori-semplicemente perché è diventato, da un punto di vista informatico, non solo “troppo grande per sbagliare”, ma anche troppo grande per cambiare.

Lanier ci chiede di fare più attenzione al software in cui siamo locked in. Risponde davvero ai nostri bisogni? O stiamo forse riducendo i nostri bisogni per convincerci che quel software non è limitato? Come osserva Lanier: “ Diversi modelli di media stimolano potenzialità diverse nella natura umana. Non dovremmo cercare di rendere il più efficiente possibile la mentalità del branco. Dovremmo, piuttosto, cercare di instillare il fenomeno dell’intelligenza individuale”.

La mentalità del branco è invece esattamente quella che vuole stimolare Open Graph, una novità lanciata su Facebook nel 2008. Open Graph permette di vedere tutto quello che i tuoi amici stanno leggendo, guardando, mangiando, cosi puoi leggere, guardare e mangiare le stesse cose… “Prima di condividere voi stessi”, scrive Lanier, “dovete fare in modo di essere qualcuno”.

Jaron Lanier ha esagerato? Zadie Smith ha esagerato?


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