Questo fine settimana ho recuperato la pellicola in questione. Beh non saprei che dire, sicuramente l’ho preferita a quel aborto di “Shadow”, ma rimane comunque un film difficile da digerire, dato che eredita da quest’ultimo molte delle cose che non me lo fecero per nulla apprezzare (montaggio e recitazione su tutte). Ripensando a l’esordio di Federico Zampaglione con “Nero Bifamiliare” mi è difficile non associarlo ad un caso più fortuito che altro, ma veniamo a “Tulpa”.
La trama è un pretesto per inscenare una serie di efferati delitti, tenta di creare profondità al plot sfruttando questi demoni buddisti, i tulpa, ma alla fine tutto si rivela propedeutico per muovere gli ingranaggi della trama, ma nulla di più. Come sempre demoni e religioni in realtà fungono come cartina tornasole per nascondere ragioni molto più terrestri e meno interessanti. Rispetto a quello che siamo abituati a “subire” in questo genere di film ci è andata pure bene (non so se vi ricordate la filastrocca di “Non ho sonno” ad esempio). “Tulpa” è una pellicola intrisa di nostalgia, pensata e realizzata per i tifosi di un cinema italiano che negli anni d’oro ha regalato pellicole capaci ancora oggi di spaventare a dovere. Un film furioso nella messa in scena, che bada molto più all’estetica, che alla recitazione, riportandoci ancora in strade buie dove il protagonista e la vittima hanno paura di un assassino senza voce, vestito di nero dalla testa ai piedi. Zampaglione filma la notte e l’oscurità nel migliore dei modi, ma come da copione del genere, banalizza la pellicola nelle scene diurne, annullando tutto il clima surreale, morbosamente orgiastico ed efferato che viene inscenato ogni volta al calar del sole (se qualcuno ricorda “Tenebre” di Argento sa a cosa alludo). Che il regista romano poi sia un amante dei capisaldi del genere come Bava, Argento, Martino, Fulci eccetera, lo dimostra oltre che nella struttura di “Tulpa”, anche attraverso l’artigianalità degli omicidi, ma questa rimane comunque un’arma a doppio taglio. Se da un lato c’è l’ingegno e la volontà di trasmettere il dolore con “poco” ed un sapiente uso dei tempi scenici, dall’altro ci ritroviamo a vedere dell’effettistica (sicuramente dovuta al budget ridotto, ma non è una giustificazione), “rudimentale” che non aiuta minimamente l’estetica della pellicola, anzi la mina per bene.
“Il cuore ha sempre ragione”, con queste parole terminava lo spot di una nota casa automobilistica italiana, infatti “Tulpa” farà impazzire gli amanti del cinema italiano giallo ed horror anni 70, in grado di amare il genere oltre l’obbiettività dello sguardo. Vedendo il film di Zampaglione non ci si può non porre una domanda: abbiamo ancora bisogno di pellicole realizzate riproponendo il passato in quasi ogni sua parte, o nel 2013 i cineasti italiani dovrebbero iniziare a guardare verso il futuro, piuttosto di riproporre il passato?